Quella che vedete in apertura è la Croce del maestro di Rosano, è uno dei tanti esempi di Christus Triumphans, di Cristo glorioso. La tradizione di questi crocefissi medievali venne come una evoluzione del pensiero sulla figura di Gesù; in principio le croci erano senza il crocefisso, cominciarono ad apparire i crocifissi come li conosciamo solo alla fine del terzo secolo, quando si dovette discutere e formulare la dottrina sull’umanità piena di Cristo, per cui venne rappresentato come un uomo che soffre; terminata quella epoca si cominciò a ritenere più interessante l’idea che la croce fosse strumento della Risurrezione e quindi ne venne l’idea del Cristo che vince la morte, in questo senso è “trionfante”.
Dopo il XIV secolo si tornerà pian piano alla sottolineatura del Cristo sofferente.
Nelle prossime settimane il venerdì sarà “aperto” da un modello di croce diverso, per permetterci di sottolineare i vari aspetti del Mistero che rappresenta e che in questa giornata ricordiamo.
Per oggi ho scelto questa immagine perchè nella giornata vorrei avere in mente alcuni amici che sono in croce e che, tutto sommato, sono vittoriosi. Accostarsi alla morte con gli occhi aperti e con le braccia spalancate è una cosa davvero invidiabile e che mi spinge a chiedere lo stesso sguardo, oggi e quando sarà il mio momento di tornare a casa.
Oggi ho deciso di regalarvi una cosa che già qualcuno ha letto, la Via Crucis che avevo fatto per spiegare le strane formelle della chiesa di san Pio; strane perchè, poi lo vedrete, ciascuna di esse ha nella scena un animale. Interrogato da questa constatazione, a cui nessuno ha dato spiegazione, ho provato a soffermarmici, e ne sono uscite queste riflessioni.
La speranza è quella di potervi aiutare in questa giornata di silenzio e riflessione. Nei prossimi venerdì pubblicherò le stazioni seguenti.

Prima stazione
Gesù è condannato a morte
“Pilato lo diede nelle loro mani perché fosse crocifisso; presero dunque Gesù e lo condussero via”
(Gv 19,16).
La scena è composta di tre personaggi che raccontano tre cose diverse: Gesù, il soldato e Pilato.
Proviamo a guardare come è composta la scena: innanzitutto c’è Cristo, che sovrasta tutto e tutti, eretto e ben definito con lo sguardo fisso a terra, in un atteggiamento che sa più di mitezza scelta piuttosto che di rassegnazione; se invece avesse guardato noi o qualche altro personaggio della scena, avrebbe conseguentemente dato un giudizio, così invece è Lui che vive la sua fatica e la sua sofferenza.
C’è poi il soldato, in una posizione scomoda, quasi impossibile: con una gamba su un gradino e l’altro piede sul gradino superiore. E’ segno del disagio di chi deve obbedire e non può né osservare né tanto meno obiettare, per questo non guarda in faccia nessuno ma fa quello che deve fare e intanto misura (o arrotola) una cordicella. Certamente la cosa ha un significato più profondo e reale, ma a me viene in mente che sta “prendendo le misure” a Cristo perché è ormai deciso che dovrà morire.
Infine troviamo Pilato-pelato: può sembrare strano ma neppure lui guarda Cristo, perché per condannarLo occorre non guardarLo. Pilato si lava le mani per liberarsi dal peso della decisione con una torsione del busto che ci fa capire come sia netto il giudizio dell’autore dell’opera: si tratta di una posizione che non è umana, ma è fuggire per salvarsi. Forse anche per questo la scelta è di rappresentare Pilato come calvo: a quel tempo era una mancanza di virilità. Sullo scranno di questo potere mondano, che può dare la vita o la morte, si trova un camaleonte: animale che il libro del Levitico mette tra quelli impuri (11,30), mentre per noi il camaleonte è l’animale che cambia, adattandosi a ciò che lo circonda. Pilato è uomo senza il coraggio di dire ciò che pensa, ma è abile nel riconoscere quello che ci si aspetta da lui e quindi nel farlo. Non è un uomo cattivo, ma solo un opportunista: per questo deve evitare di guardare Gesù.
In fondo anche noi, spesso, ci accontentiamo di non guardarLo per poter fare ciò che vogliamo.

Seconda stazione
Gesù è caricato della croce
“Ed egli, portando su di sé la croce,
uscì verso il luogo detto Cranio, in ebraico Golgota“
Gv 19,17
Anche per questo secondo quadro la struttura è legata a tre personaggi, Gesù al centro e due ai lati a reggere con lui il peso della croce. L’animale in questa scena è una scimmietta.
In realtà il “personaggio” che spicca in questa stazione è la croce: davvero imponente e quindi pesantissima. Al centro della scena – e della croce – c’è Gesù, con l’aria di chi non sta soccombendo sotto il peso del patibolo: i suoi vestiti infatti sono senza una piega e pare che stia già “guardando” oltre ciò che sta accadendo; l’esito che potremmo intravvedere in questa posa del Cristo è quello di un abbraccio alla croce stessa.
Ben diversa è la posizione dei due personaggi che aiutano Gesù. È evidente che vedere come Cristo patisca per me mi mette nella disposizione di cercare di alleviarne le pene, ma anche questo non è scontato.
Il personaggio a destra è in abiti succinti e sorregge la croce con un gesto davvero efficace, ma che non può essere uno sforzo protratto nel tempo, tant’è che egli sembra cercare l’equilibrio, un equilibrio che non può trovare perché portare la croce sostenendola solo da uno dei suoi estremi è fisicamente impossibile. Voler essere d’aiuto al Gesù per un puro slancio sentimentale non porta a nessun aiuto reale, è solo questione di tempo ma prima o poi si esaurisce.
Il secondo personaggio, che sta alla sinistra della scena, sembra essere quasi l’opposto del primo: abiti da viaggio con annesso mantello (giusto per far le cose con più fatica) e una posizione nel sostenere la croce che non può essere d’aiuto, perché le braccia tenute in quel modo sono davvero indice di un aiuto solo “simbolico” e quindi ben lontano dal sostenere realmente il peso della croce stessa. Ecco uno che dice di voler essere con Cristo, ma che in realtà non si mette in gioco sul serio nemmeno per un istante.
E la scimmietta che sfiora il vestito di questo personaggio?
Nell’alfabeto ebraico la diciannovesima lettera dà il nome alla scimmia e ha valore numerico di 100, il numero di Dio, quindi è il segno di chi cerca di apparire quello che non è; e chi scimmiotta Dio? Il demonio. Perché è solo per opera del demonio che l’uomo “finge” l’amicizia con Dio senza però volerci avere a che fare fino in fondo. È l’essere cristiani senza Cristo.
Mentre il primo personaggio è tutto centrato su di sé e per lui la fede si riduce a uno sforzo, il secondo segue il demonio che lo porta a una fede soltanto di facciata.
Buon venerdì,
donC
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