Lo stupendo volto che trovate oggi in apertura è quello realizzato da Michelangelo Buonarroti, in una data non certissima, il 1493, per la basilica di Santo Spirito a Firenze, come segno di gratitudine al priore per l’ospitalità e per la possibilità concessagli di studiare l’anatomia.
Si tratta di un crocifisso che ha una grandezza quasi naturale e che mi colpisce per alcune cose: la prima è la nudità del Cristo in croce, cosa cui non siamo abituati, ma che era del tutto improbabile nella realtà dei fatti, ma, come spesso mi accade, la cosa che inizialmente colpisce la mia curiosità è poi quella che mi introduce alla scoperta e al vero interesse: quella naturale compostezza nella morte dà un senso di respiro, e questo mi viene da due elementi: la perfetta semplicità delle linee: anche nella torsione data dai chiodi nei piedi sembra quasi che Gesù voglia ergersi sopra la sua stessa morte; e poi quel viso così sereno e dolce, come se lo strazio dell’agonia fosse sparito per lasciare tutto lo spazio all’idea di essere entrato in un abbraccio che consola e compie.
Sarò banale, ma quanto è bello quel volto nella morte!
Come nei venerdì precedenti vi riporto due stazioni della via Crucis.
Buona giornata.

Settima stazione
Gesù cade per la seconda volta
“Consegnò la sua vita alla morte, e fu annoverato tra i malfattori”
(Is 52,12).
La prima cosa che mi ha colpito in questa formella è la croce, sghemba, che pare contraddire le leggi della proporzione e della geometria. Questo raffigurare la croce quasi come una vista frontale però dà subito il senso della pesantezza e della imponenza del dramma che si sta svolgendo dentro questa seconda caduta.
La figura del Cristo è poi un’altra provocazione: sorregge la croce con la schiena più che con la forza di un braccio, il destro, che, per come è messo, davvero poco sollievo poteva dare a quel peso opprimente: quando la croce non porta al cielo schiaccia a terra. Credo sia questa la prima formella dove appare tutto il dramma della salita al Calvario, infatti il terreno, unico effetto scenico, torna in salita, ma soprattutto questa è la settima formella del cammino doloroso, il momento della pienezza e della “perfezione” di quella fatica dolorosa.
Il soldato con scudo e lancia alzata ci prefigura il colpo di lancia al corpo morto di Gesù in croce, è il gesto di chi vuole assicurarsi che la giustizia sia compiuta, per questo qui è il gesto di chi incita al cammino. Da notare la figura scultorea del corpo di questo soldato, come lo è anche per il personaggio che poi vedremo: Cristo sembra diafano, gli altri due sono plasticamente perfetti. L’uomo cerca da sé la propria forma.
Un pochino più incerto mi pare di doverlo essere sulla figura dell’uomo che sta alla sinistra: potrebbe addirittura essere il cireneo -le fattezze lo possono far pensare- che non ha avuto il coraggio di andarsene dopo aver aiutato Gesù. Cosa che del resto capirei, chi potrebbe andarsene per la propria strada, o tornarsene a casa tranquillo, dopo aver aiutato un uomo condannato a morte? Chiunque sia a me pare che rappresenti uno che ha avuto uno scatto umano nel vedere crollare Gesù sotto la croce: un braccio cerca come di trattenerla mentre con l’altro sembra cercare un equilibrio che non trova per lo scatto repentino. Che cosa dovrebbe dirci questo? Ancora una volta che il tentativo di simpatia umana per Cristo, l’umanità, non basta a Gesù e probabilmente neppure all’uomo.
Dare una spiegazione ai due serpenti che sono nella formella di oggi pare sin troppo facile, abbiamo tutti in mente che si tratta del simbolo del male, un male che però non è brutale ma che ha la forma della tentazione, in questo caso oggetto della tentazione sembra proprio essere Gesù: quella caduta ripetuta è l’occasione per l’emergere del pensiero che può raggelare il cuore: ne vale la pena? Non potrebbe essere tutta una fregatura?
Altra possibile spiegazione della presenza dei serpenti, maggiormente positiva ed edificante, potrebbe essere una rilettura di Nm 21 dove Mosè innalza un serpente di rame in mezzo alle tende degli ebrei per impedire che continuino a morire per i morsi di quegli animali. L’evangelista Gv chiosa questo episodio in una maniera bellissima: “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinchè chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. (3,14-15). Occorre che Cristo sopporti tutto questo dolore per poter essere innalzato e salvare il popolo dei credenti.

Ottava stazione
Gesù incontra le donne
“Figlie di Gerusalemme, non piangete per me,
ma piangete per voi stesse e per i vostri figli ”
(Lc 23,28).
Sembra che Gesù porti non la croce ma un fuscello appoggiato sopra la spalla, tanto cammina eretto e impettito! Non c’è più traccia alcuna della fatica e del dramma presenti nella formella precedente, il gesto della mano destra, libera dal peso della croce, sembra addirittura mandare un messaggio chiaro che conosciamo bene per la Risurrezione : “Noli me tangere!” Non mi trattenete. Gesù che ha vinto la fatica e la tentazione della scena precedente ora cammina spedito su una via piana.
Resta solo da capire se tutto questo è conseguenza della visione che gli si para innanzi.
Provo a svelarvi ciò che penso cercando di lasciare a voi la scoperta. Due donne: una pare inginocchiata e l’altra in piedi, la prima sembra disperarsi l’altra è altrettanto disperata ma sembra accennare una reazione meno interiore e più visibile; una è abbigliata di tutto punto l’altra è abbigliata come una affaccendata nei lavori domestici. Da ultimo le fattezze delle due sono molto simili.
Come non pensare a Marta e Maria le sorelle di Lazzaro?
Questa interpretazione mi ha colpito tantissimo: Gesù non incontra delle donne qualsiasi, chissà quanta gente c’era sulla via del Calvario, Gesù trova le sue amiche. Questo da conforto a Lui e a loro.
La citazione del vangelo di Luca che apre la “stazione” mi pare sia quindi non un’affermazione netta un giudizio senza appello ma una parola detta a chi davvero stava piangendo per Lui.
Per capire la presenza del cerbiatto nella formella di oggi credo possa bastare la citazione del Cantico dei Cantici (2,9-10):
Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate.
Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!
È un po’ come se ci venisse detto che le due sorelle vedono sotto la croce non un uomo sofferente e schiacciato ma l’amato, in questo caso l’amico che davvero si ama. Se non si vede l’amico, l’amore sotto la croce non si riesce né a fare compagnia a Gesù nella passione (perché le donne dicono gli evangelisti saranno sotto la croce) e neppure a provare vero dolore per quel supplizio. Capiterà al limite di essere ammirati per l’eroicità di Gesù.
Buon venerdì,
donC
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