Oggi nel primo pomeriggio ci saranno le esequie di Laura, un’amica che ha lottato in questi ultimi quattro anni con una malattia che l’ha portata alla pace di Cristo. Ieri mattina sono stato a darle una benedizione e per tutta la giornata l’ho avuta in mente.
Scrivo a tutti ciò che vorrei non perdere perché mi rendo conto che questo momento è uno di quelli che, nella foga della vita, rischio di perdere, se non mi costringo ad andare a fondo di ciò che ho vissuto. E questo è ciò che mi porto:
si può essere grati e inquieti, certi e non risolti. Questa è la prima a cosa che imparo e che voglio conservare: ci siamo conosciuti perché era arrabbiata con Gesù per la malattia, per i sogni infranti, per la preoccupazione dei figli.
Negli ultimi tempi era grata della sua storia, seppur complessa, per ciò che aveva visto e per la certezza che anche i figli sono custoditi dalla storia che ha custodito lei, mi diceva: “sono contenta di poter incontrare Gesù”. D’altra parte questo non ha impedito l’irrequietezza e l’agitazione delle ultime giornate.
Il tempo non passa invano. Mi stupisce alla commozione vedere il cammino che Gesù ha previsto, svolte e giravolte che hanno portato alla costruzione di un tempo di Grazia. La malattia ha funzionato come potente accelerante della storia: nell’arco di poco tempo Laura ha compiuto un cammino che in piena salute forse non avrebbe realizzato.
Pensiamo sempre che l’essere ammalati porti via qualcosa ma non consideriamo che la fatica, con le sue domande spalanca la ragione e porta a vedere quello che c’è e non più solo quello che ci si aspetta.
La preghiera e i sacramenti come sostegno del cammino, e il mio compito di “somministratore”. Credo, se non ricordo male, di averle dato per tre volte il sacramento dell’Unzione degli infermi, abbiamo celebrato il giubileo con una Messa in casa prima di Natale, e ogni volta che la vedevo le portavo la Comunione e la confessavo. Altro non avevo da offrirle e ho stampato nel cuore la necessità che lei aveva di quei “santi segni”. Possiamo essere tutto ciò che vogliamo ma restiamo bisognosi di essere salvati e abbiamo avuto in dono la grazia di una strada certa, che non passa da noi ma dalla misericordia di Dio, che ci dona sè stesso, e della Chiesa che ci viene incontro dandoci ciò che non potremmo darci da soli.
Il popolo. E’ un’ulteriore testimonianza: tutte le volte che si faceva qualcosa dovevo tenere conto dei numeri: alla Messa per il Giubileo e all’Unzione ha invitato un sacco di gente. Era il segno che anche la malattia, e i suoi passi, non erano cosa “sua” ma una circostanza da vivere insieme.
Ora Laura può dire con san Paolo: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.” (2 Tm 4).
E io di tutto questo sono davvero grato.
dalla liturgia ambrosiana:
Mercoledì della VI settimana dopo PASQUA
In quel tempo.
Vangelo secondo Giovanni 14,7-14.
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».
Chi di se stesso può dire le stesse parole di Gesù: “chi conosce me conosce il rapporto che mi costituisce”? Chi conosce me conosce mia moglie, mio marito o i miei amici?
Mentre devo riconoscere che per me non è così mi rendo conto che la cosa è davvero desiderabile, sarebbe il segno evidente della grandezza del rapporto che vivo; eppure ciò che vede chi mi incontra è solo la povertà della mia persona: chi mi incontra incontra me.
Quindi è tutto da buttare? Sono forse sbagliato? Credo che la questione sia un’altra: io non sono evidenza del rapporto che mi costituisce ma, spero, sono evidenza della tensione che vivo. Se miro all’amicizia con Cristo è questo che dovrebbe trasparire dentro la povertà della immagine che trasmetto.
come si usa dire oggi: “Work in progress”.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 13
Educazione alla libertà
2. Educazione a un atteggiamento di domanda
L’osservazione è abbastanza semplice: se uno parte da un’ipotesi negativa, anche se qualcosa c’è non trova; se uno parte da un’ipotesi positiva, se qualcosa c’è può trovare, se non c’è non troverà.
Semplice è una parola un pò forte: è semplice l’osservazione ma non è affatto semplice riconoscere e vivere quello che dice: l’ipotesi negativa spesso prevale come pregiudizio, decidiamo prima di cosa abbiamo bisogno e che cosa ci serve, e poi “leggiamo” la realtà a partire da ciò che abbiamo pensato. La questione è che così prendiamo dalla realtà, dalla vita, ciò che abbiamo già deciso essere nostro bisogno, senza nemmeno dover sapere qual è il nostro vero bisogno.
Buon mercoledì,
donC
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