Lunedì 30 giugno 2025

Manca sempre qualcosa!
Ieri mattina levata mattutina per preparare la chiesa e poi partire per la celebrazione di un matrimonio a un’ora e più di strada.
Cerco sempre di arrivare un pochino prima per pregare e per preparare la celebrazione, così alle 10 ero ad Arona.
Parcheggio nelle vicinanze della chiesa e poi mi avvio al luogo della celebrazione, che trovo totalmente spoglio. Noto subito la cosa perchè non mi capita mai di arrivare anche prima del fiorista, così mi guardo in giro e non vedo nulla e nessuno, … avevo sbagliato orario!
Dopo un paio di minuti di improperi contro me stesso decido che aspettare l’orario giusto per altre cinque ore non era affatto intelligente, così riparto per casa. E mi ripresento per la celebrazione che era alle 15.

Tutto ciò può essere frutto del gran caldo, della mia senescenza o semplicemente della mia distrazione, ma non so; quello che è certo è che occorre imparare davvero a non fidarsi troppo di sè stessi dei propri pensieri. Se poi c’è qualcuno che ti corregge e aiuta, tanto meglio.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Il Signore Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Vangelo secondo Giovanni 21, 15b-19.

Le figure di Pietro e Paolo sono identiche nel loro amore totale per Gesù, per loro Lui è la vita stessa che vivono, ma poi i due apostoli sono diversissimi per stile e concezione della vita cristiana: si scontreranno, e non poco, su che cosa sia il vivere cristiano.
Per questa loro diversità non staranno praticamente mai nello stesso luogo.
Sottolineo questo perchè ad entrambe i santi che oggi celebriamo il buon Dio dice lo stesso: “seguimi”, e nessuno dei due si sogna di stare di fronte all’altro dicendo: “io ho ragione perchè Gesù mi ha detto così, mi ha confermato nel mio amore”. E nessuno dei due usa un atteggiamento autoritario nei confronti dell’altro.
Oggi pare che la Chiesa sia diventata un pò come la politica: il punto è che si litiga per affermare c’è un modo per essere cristiani. Mentre la realtà parla, e parla di diversi stili e forme. Ma la diversità per molti è un problema.
Pensate che anche questa festa potrebbe essere occasione di divisione, mentre lo è solo di diversità: nel rito romano quella di Pietro e Paolo è una festa della Chiesa, e vince sulla celebrazione domenicale mentre nel rito ambrosiano tutte le feste sono sottoposte alla festa di Gesù, quindi i nostri santi vengono dopo.

Oggi ciascuno è sfidato a dire se davvero l’amore a Cristo viene prima di tutto: “mi ami più di costoro?”


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
II. La vita di Gesù. Le parabole.
11. La donna emorroissa e la figlia di Giairo.
«Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36)


Fratelli e sorelle,
anche oggi meditiamo sulle guarigioni di Gesù come segno di speranza. In Lui c’è una forza che anche noi possiamo sperimentare quando entriamo in relazione con la sua Persona.

Una malattia molto diffusa nel nostro tempo è la fatica di vivere: la realtà ci sembra troppo complessa, pesante, difficile da affrontare. E allora ci spegniamo, ci addormentiamo, nell’illusione che al risveglio le cose saranno diverse. Ma la realtà va affrontata, e insieme con Gesù possiamo farlo bene. A volte poi ci sentiamo bloccati dal giudizio di coloro che pretendono di mettere etichette sugli altri.

Mi sembra che queste situazioni possano trovare riscontro in un passo del Vangelo di Marco, dove si intrecciano due storie: quella di una ragazza di dodici anni, che è a letto malata e sta per morire; e quella di una donna, che, proprio da dodici anni, ha perdite di sangue e cerca Gesù per poter guarire (cfr Mc 5,21-43).

Tra queste due figure femminili, l’Evangelista colloca il personaggio del padre della ragazza: egli non rimane in casa a lamentarsi per la malattia della figlia, ma esce e chiede aiuto. Benché sia il capo della sinagoga, non avanza pretese in ragione della sua posizione sociale. Quando c’è da attendere non perde la pazienza e aspetta. E quando vengono a dirgli che sua figlia è morta ed è inutile disturbare il Maestro, lui continua ad avere fede e a sperare.

Il colloquio di questo padre con Gesù è interrotto dalla donna emorroissa, che riesce ad avvicinarsi a Gesù e a toccare il suo mantello (v. 27). Questa donna con grande coraggio ha preso la decisione che cambia la sua vita: tutti continuavano a dirle di rimanere a distanza, di non farsi vedere. L’avevano condannata a rimanere nascosta e isolata. A volte anche noi possiamo essere vittime del giudizio degli altri, che pretendono di metterci addosso un abito che non è il nostro. E allora stiamo male e non riusciamo a venirne fuori.

Quella donna imbocca la via della salvezza quando germoglia in lei la fede che Gesù può guarirla: allora trova la forza di uscire e di andare a cercarlo. Vuole arrivare a toccare almeno la sua veste.

Intorno a Gesù c’era tanta folla, e dunque tante persone lo toccavano, eppure a loro non succede niente. Quando invece questa donna tocca Gesù, viene guarita. Dove sta la differenza? Commentando questo punto del testo, Sant’Agostino dice – a nome di Gesù –: «La folla mi si accalca intorno, ma la fede mi tocca» (Discorso 243, 2, 2). È così: ogni volta che facciamo un atto di fede indirizzato a Gesù, si stabilisce un contatto con Lui e immediatamente esce da Lui la sua grazia. A volte noi non ce ne accorgiamo, ma in modo segreto e reale la grazia ci raggiunge e da dentro pian piano trasforma la vita.

Forse anche oggi tante persone si accostano a Gesù in modo superficiale, senza credere veramente nella sua potenza. Calpestiamo la superficie delle nostre chiese, ma forse il cuore è altrove! Questa donna, silenziosa e anonima, vince le sue paure, toccando il cuore di Gesù con le sue mani considerate impure a causa della malattia. Ed ecco che subito si sente guarita. Gesù le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace» (Mc 5,34).

Nel frattempo, portano a quel padre la notizia che sua figlia è morta. Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Poi va a casa sua e, vedendo che tutti piangono e gridano, dice: «La bambina non è morta, ma dorme» (v. 39). Quindi entra nella camera dove giaceva la bambina, la prende per mano e le dice : «Talità kum», “Fanciulla, alzati!”. La ragazza si alza in piedi e si mette a camminare (cfr vv. 41-42). Quel gesto di Gesù ci mostra che Lui non solo guarisce da ogni malattia, ma risveglia anche dalla morte. Per Dio, che è Vita eterna, la morte del corpo è come un sonno. La morte vera è quella dell’anima: di questa dobbiamo avere paura!

Un ultimo particolare: Gesù, dopo aver risuscitato la bambina, dice ai genitori di darle da mangiare (cfr v. 43). Ecco un altro segno molto concreto della vicinanza di Gesù alla nostra umanità. Ma possiamo intenderlo anche in senso più profondo e domandarci: quando i nostri ragazzi sono in crisi e hanno bisogno di un nutrimento spirituale, sappiamo darglielo? E come possiamo se noi stessi non ci nutriamo del Vangelo?

Cari fratelli e sorelle, nella vita ci sono momenti di delusione e di scoraggiamento, e c’è anche l’esperienza della morte. Impariamo da quella donna, da quel padre: andiamo da Gesù: Lui può guarirci, può farci rinascere. Gesù è la nostra speranza!


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