Cena.
Alcuni ragazzi mi hanno chiesto di cenare insieme per presentarmi un amico incontrato da qualche tempo e desideroso di fare un incontro con me, a tavola. Dopo qualche attesa la cosa si è realizzata ieri sera.
Dalla cena in sè non mi aspettavo grandi cose ma mi piaceva l’idea di vedere dei volti cari e di conoscerne altri; così arrivato in casa pensavo: “vediamo cosa succede”; dichiarandomi così disposto a non perdere nessun elemento che potesse farmi fare un passo in più.
Il “nuovo” amico durante la prima parte della cena ci ha raccontato del suo inizio, dell’incontro “scoppiato” per il desiderio di una cosa bella e banale, la felpa realizzata dai ragazzi di quella comunità, e non ha nemmeno taciuto la paura di essere “fregato” da quella gente che nemmeno conosceva.
Da lì, dal desiderio di una felpa è nata un’amicizia, e da lì è stata vinta una solitudine.
Ne ho ricavato per me alcune conclusioni che vi riporto:
il coraggio di desiderare la bellezza; coraggio che spesso noi non abbiamo perchè ci pare di avere risolto tutto, di non avere bisogno di nulla. Occorre un cuore davvero semplice e “limpido come acqua di sorgente” per chiedere una bellezza che si è anche solo intravista. Non nascondiamo o mascheriamo la nostra sete di infinito.
Secondo: quell’amico, che si è concesso di essere sè stesso, ha guardato dentro quel desiderio e ha superato l’ostacolo della non conoscenza, anzi, di quella bellezza ha iniziato a desiderare il cuore, l’amicizia che ha generato quella maglia.
Infine: che peccato che alla bellezza delle nostre cose ci abituiamo tanto rapidamente; la bellezza è la prima forma di testimonianza che abbiamo, a noi pare di fare cose belle, mentre a chi ci incontra scatta un desiderio. Che genera un incontro che apre alla vita.
dalla liturgia ambrosiana:
Martedì della VI° settimana dopo il martirio del Precursore
Memoria della B.V. Maria del Rosario
La corona del rosario, come serie di grani infilati a collana per contare le preghiere – che troviamo anche presso i musulmani e gli indiani – sembra molto antica. Ma l’uso di ripetere e contare le Ave Maria risale al XII secolo. Una raccolta di miracoli di Nostra Signora – un Rosarius – verso il 1328 attribuiva a san Domenico la salvezza del mondo grazie alla sua predicazione della preghiera dell’Ave Maria ripetuta e meditata. Ma in realtà il propagatore del “salterio di Nostra Signora”, come si preferiva chiamare il rosario, è stato, nel 1475, il domenicano B. Alano de la Roche. La memoria della Beata Vergine del Rosario deriva da una festa – Santa Maria della Vittoria – istituita da san Pio V dopo la vittoria riportata a Lepanto sulla flotta turca il 7 ottobre del 1571.
Tale memoria, ad opera di Gregorio XIII, entrò nella liturgia della diocesi di Roma, oltre che nel culto delle Confraternite del Santo Rosario, sotto il titolo di Santissimo Rosario della Beata Vergine Maria . Ma solo nel 1716 fu iscritta nel Calendario Romano in ringraziamento della vittoria riportata contro i turchi a Peterwardein (Austria) dal principe Eugenio nel 1683, con la liberazione di Cipro. In tempi più vicini a noi, nel 1960, il mutamento del titolo da festa del santo Rosario a festa della Beata Vergine del Rosario la ricentra sulla venerazione della Vergine nella memoria dei misteri che ha vissuto in comunione con il Figlio – i misteri proposti nel rosario – nei quali si contempla il mistero totale di Cristo, la sorgente della nostra salvezza. Maria – dice san Bernardo – è l’Acquedotto che ci riporta alla Sorgente.
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
Vangelo secondo Luca 21, 10-19.
Ci fermiamo spesso a commentare la durezza dei tempi, riconoscendo in queste “visioni” le parole profetiche di Gesù, ma qui ci dice un’altra cosa: “prima di tutto questo metteranno le mani su di voi”. La persecuzione dei cristiani è davvero una questione decisiva: abbiamo bisogno di riconoscere che la persecuzione fa parte della prospettiva cristiana della vita.
Sapere di essere “provati” dalla fede è come riconoscere che la vita è un lungo dono di sè, venendo meno a noi stessi.
Ma la persecuzione non basta, Gesù ci mette anche il carico: per essere suoi veri discepoli ci vuole anche la testimonianza; che però ha la forma del puro e semplice esserci, parola e sapienza sono donate a chi “resta”. Ma anche solo per questo occorre la ferma coscienza che Lui salva, oltre tutte le circostanze.
Ma neppure la testimonianza basta: ci è donata la prospettiva di essere odiati da coloro che amiamo, di essere uccisi e comunque di essere odiati da tutti. Gesù vuole che non resti altro che il rapporto con lui. E per questo rapporto nulla di noi andrà mai perso; per questo rapporto unico saremo davvero pienamente padroni di tutto ciò che nella vita accade: capaci di gustare, amare e custodire, la bellezza della vita come non sapremmo fare da soli.
Ma è davvero questo che chiediamo la mattina alzandoci dal letto?
Scuola di Comunità 2025/2026

«Cristo, nuovo principio
di conoscenza e di azione»
Qui potete trovare il testo della Giornata di inizio anno:
https://www.clonline.org/it/pubblicazioni/libretti/giornata-inizio-anno-2025
Già nel momento sorgivo del movimento, don Giussani parlava di due pilastri essenziali della nostra realtà: da una parte, «la vita critiana come comunione»; dall’altra , «la collaborazione all’avvenimento del mondo, del cosmo». Diceva: «Questi sono i due punti cardine, esaurientemente tali, della nostra concezione. Questi sono i due punti e basta».
Come mettere in discussione quello che è accaduto a ciascuno di noi? Senza la concretezza di una comunione, senza delle facce, noi non avremmo mai incontrato Gesù come realtà capace di dare gusto e senso a tutto.
D’altra parte la bocca parla della pienezza del cuore e così quello che ci è “entrato” in cuore è ciò che riempie i nostri occhi e le nostre parole e azioni, altrimenti non è così vero che prende tutto.
Quello che chiamiamo incontro è tutto ciò che serve per muoversi dentro l’attualità delle nostre giornate.
Buon martedì,
donC
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