Mercoledì 22 ottobre 2025

Semplice semplice.
Ieri sera, per una cena con le matricole del Poli, siamo migrati all’oratorio di dergano, Lo scopo della cena, e del relativo incontro, era semplicemente quello di stare un pochino con le nuove “leve” e di introdurle a cosa sia la scuola di Comunità.
Arrivato con una gran fame mi sono subito buttato a testa bassa sul piatto di pasta che mi è stato portato, il sugo era davvero buono!
Avrebbe poi dovuto esserci un dolce ma, inaspettatamente, sono arrivati dei wurstel e delle patatine fritte, a me più graditi, e infine, per i golosi, anche il salame di cioccolato.

Solo a fine cena ho preso coscienza che tutto di era stato preparato, anche i tavoli con le tovaglie di tessuto, da alcune signore della parrocchia che avevano anche cucinato per noi.
Persone che non conoscevamo e che hanno fatto la fatica di uscire di casa per preparare la cena a dei ragazzi quasi interamente sconosciuti.

Ecco, questo è costruire la pace: uno che dona un pò della sua vita per la stima che ha di uno che nemmeno conosce; in forza dello stesso incontro eravamo per loro come i figli a cui si prepara la cena.

Ma questa gratuità è possibile solo perchè Dio si è fatto uomo ed è venuto a farci vedere che così, dando sé stessi, si è tutti più contenti.

P.S: Per una delle cuoche ieri era pure il giorno del compleanno!


dalla liturgia ambrosiana:

Karol Józef Wojtyła  nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920. Fu ordinato sacerdote a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente,a Roma conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore in parrocchia e cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici che concluse nel 1953 all’Università cattolica di Lublino svolse poi l’incarico di professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia e il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967. Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segna l’inizio del suo pontificato: primo Papa non italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti l’eredità del Concilio Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal turco Alì Agca.
Molto importanti sono le sue encicliche, tra le quali sono da ricordare la “Redemptor hominis”, la “Dives in misericordia”, la “Laborem exercens”, la “Veritatis splendor” e l’”Evangelium vitae”. Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell’uomo sono impegni quotidiani del suo ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli.
E’ morto nel suo alloggio nella Città del Vaticano, il sabato 2 aprile 2005; i solenni funerali sono seguiti in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane l’8 aprile.
Ovunque nel mondo ha pronunciato messaggi, e celebrato liturgie imponenti, gesti indimenticabili: dall’incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla ha traghettato l’umanità nel terzo millennio.
La sua beatificazione ha avuto luogo a Roma il 1° maggio 2011 cui è seguita la canonizzazione nel 2013.

In quel tempo. Il Signore Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Vangelo secondo Marco 6, 7-13.

Con la Compagnia di Cristo si possono fare cose impensabili: andare nel mondo senza portare nulla, annunciare Cristo a tutti senza paura, scacciare i demoni, guarire i malati per mezzo dell’unzione, e poi chissà cos’altro ancora. I discepoli di Cristo sono davvero le armi potenti di Gesù per la conquista del mondo.
Ma forse noi non ci crediamo troppo. Ma Gesù sì.
Lui non ha nessuna paura a mandarci nel mondo a suo nome, segno non solo che si fida ma anche che ci riconosce adeguati ad essere suoi “segni”.
Come possiamo continuare a fuggire la nostra responsabilità? Perché non riusciamo a fidarci di Gesù che ci manda? Forse perché non guardiamo mai al fatto che ci invia a due a due, cioè capaci di riconoscere e testimoniare perché insieme.

Oggi è la memoria liturgica (facoltativa) di san Giovanni Paolo II, credo che la cosa si sposi bene con questo brano del vangelo: se c’è un testimone dell’andare a tutti è quel santo Papa: “non abbiate paura!”.


“Vieni con me, perché sei mio!”.
Queste parole sono davvero pesanti, perchè a noi piacerebbe anche dire sì a Gesù ma con i nostri tempi e ritmi, partire con la coscienza di appartenere non è affatto semplice. In fondo forte è la tentazione di continuare sempre ad appartenere a noi stessi; tutto resta più semplice e piano.
Essere di un altro è una scelta non semplice da prendere tutte le mattine, eppure ciò che Gesù ci chiede è questo, e per questo si inizia la mattina con il mendicare che Lui soccorra il nostro desiderio.
Credo sia per queste ragioni che don Giussani non parla di rifiuto ma di resistenza.


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