Lunedì 27 ottobre 2025

Fine settimana ricco di doni.
Cosa spinge un universitario ad una Messa nella Repubblica Ceca, lui che è lì per studiare, e invece si ritrova commosso per Gesù presente, in una celebrazione dove non capisce una parola?
Cosa porta due promessi sposi ad accettare che il “loro” giorno possa essere investito dei sogni e dei pensieri di genitori e parenti?
Che cosa spinge un carcerato, ospite momentaneo a san Pio, a preoccuparsi dello scombussolamento portato agli abituali frequentatori dalla presenza in oratorio di due poliziotti?
E cosa spinge una giovane donna a svegliarsi nel cuore della notte per prendere delle medicine che possano dare piena salute al figlio che deve ancora nascere?
E potrei andare avanti per almeno altre dieci situazioni che ho incontrato in questi due giorni.

In un mondo dove si cerca di essere tutti uguali essere diversi è frutto solo dell’impegno ad essere sè stessi. A vivere quel bene che il cuore brama sempre.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Mentre camminavano per la strada, un tale disse al Signore Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Vangelo secondo Luca 9,57-62.

“Se Gesù dicesse a me: “seguimi” cambierebbe tutto”.
Non ditemi che non l’avete pensato anche voi. Eppure Gesù con noi tace, non ci rivolge quell’invito esplicito e semplificatore.
Quanti amici e amiche aspettano un’indicazione chiara per scoprire cosa fare della loro vita. Ma Gesù tace.
Allora era lì, in carne e ossa davanti a loro, oggi quella fisicità non c’è, va riconosciuta in altre forme, e dentro la scoperta della Sua presenza si trova anche quell’invito.
Perchè quell’invito risuona di continuo nelle nostre vite, il punto è che spesso non si riesce a coglierlo in mezzo a tutto il rumore delle giornate, e quando lo si coglie non è semplice seguire uno che non vedi.
Ma vi garantisco che è possibile.
Per me quell’invito risuona continuamente, ed è quasi assordante: grazie alla bellezza di volti e storie che mi hanno fatto sperimentare una pienezza a cui davvero voglio dare tutto.
Seguo Lui perché così posso veder riaccadere all’infinito quello che ho incontrato: una compagnia che mi ha preso per mano e mi ha portato dentro la bellezza della vita.


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale
2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano


Fratelli e sorelle buongiorno,
La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *