Martedì 28 ottobre 2025

Ma basta davvero Gesù?
Qualche volta mi verrebbe da porre questa domanda a tutti quegli amici che si dolgono della loro fatica. Amici che vorrebbero conoscere la forma della loro vocazione, amici che si sentono soli, amici che credono che la vita sia solo una immensa prova, o anche solo amici che di fronte alla fatica schiantano come alberi in preda alla bufera.
E non sarebbe una domanda- pretesa, e neppure un richiamo ma solo sarebbe una sfida: cosa vuol dire che per noi Cristo è tutto?

Papa Leone sta continuamente sfidandoci a questo, a una fede che non sia solo facciata e norma, per il quieto vivere, ma sia sempre più posizione del cuore. E capisco che se non è questa la posizione si ha una drammatica deriva verso la vita come solitudine.
A furia di dirci che va tutto bene, quando accade che qualcuno ci chiede come stiamo, arriveremo ad avere maschere definitive, che coprono la radicale solitudine che viviamo.

come mai altrimenti ci accade di dire e raccontare che abbiamo fatto l’incontro con Cristo se poi per compiere la vita abbiamo bisogno di qualcosa d’altro? Ciò che ci compie è Cristo o quello che sogniamo?

E guardate che mettere davanti Cristo non elimina l’amore umano ma lo esalta: amare la persona della vita come fa Cristo è amarla mille volte di più di quello che sapresti fare tu.


dalla liturgia ambrosiana:

I cristiani fondano la loro vita sulla fede trasmessa dagli apostoli, i testimoni oculari che condivisero la vita di Gesù, dal suo battesimo fino all’ascensione. Simone e Giuda, venerati in un’unica festa, fanno parte del collegio apostolico, chiamati dallo stesso Gesù a seguirlo.
Simone fu soprannominato cananeo o zelota, due termini che esprimono lo stesso significato, cioè “zelante”. Secondo la tradizione del II secolo, riportata da Egisippo, sarebbe succeduto a san Giacomo il minore dal 62 al 107, data del suo martirio sotto Traiano, nel governo della comunità di Gerusalemme. Il suo martirio sarebbe avvenuto a Pella. Un’altra tradizione lo vede crocifisso in Abissinia; un’altra ancora crudelmente trapassato da una sega.
Giuda fu soprannominato Taddeo, per distinguerlo dall’altro Giuda; il suo appellativo significa “magnanimo”. La lettera di Giuda che troviamo nel Nuovo Testamento, non è ritenuta dagli studiosi del nostro apostolo. È invece proprio Giuda Taddeo che nel vangelo di Giovanni (14,22-23) rivolge domande a Gesù. Lo storico Niceforo Callisto riporta una tradizione secondo la quale Giuda evangelizzò la Palestina, la Siria e la Mesopotamia. Morì martire a Edessa. La Chiesa sira ne ricorda invece il martirio ad Arad, presso Beirut.

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Vangelo secondo Giovanni 14, 19-26.

Oggi festeggiamo Simone e Giuda, due apostoli di cui molti nemmeno saprebbero dire l’esistenza. Eppure la nostra fede si regge su queste sconosciute pietre angolari; è per loro che l’incontro con Gesù è possibile a noi oggi.
Quindi celebrare una festa come quella odierna è davvero occasione per prendere maggiore consapevolezza che siamo dentro una storia che attraversa la storia per arrivare sino a me.

il vangelo odierno è stato scelto perché riporta il solo intervento di Giuda che ci è dato conoscere: le sue domande. Anche questo mi colpisce, non sappiamo praticamente altro di quell’apostolo, ma le sue domande sono lì, per sempre, a mostrarci che l’amicizia con Cristo è un continuo dialogo e un continuo usare la ragione per capire al meglio ciò che è dato di vivere.

“Perché a noi e non a tutti?”. La grazia di essere stati preferiti non diminuisce di una virgola il senso di disagio che viene pensando che tanti altri, forse più di noi, avrebbero meritato di incontrare Cristo. Ma è accaduto a noi, non ad altri.
Credo che un indizio per la risposta stia in quel “se”; noi siamo gente che deve scegliere se amare o meno, mentre altri avrebbero risposto subito sì, e altri avrebbero detto il loro no; ma noi siamo quelli che devono ancora decidersi. E Gesù ci fa la carità di preferirci perché così possiamo imparare a scegliere, magari mettendoci tutta la vita.


Appartenere, per essere sè stessi. Questo è esattamente il contrario di ciò che solitamente si intende con “essere sé stessi”. Questa è una delle principali scoperte di don Giussani: la liberazione è in una comunione.
ho bisogno di un noi per poter compiere e realizzare il mio “io”, altrimenti posso solo perdermi in una sorta di idealismo cristiano, copertura solenne della più umile solitudine.


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