Lunedì 17 novembre 2025


Andiamo a cominciare.
Ieri dopo Messa ero in oratorio per bere un caffè e mi guardavo intorno: un gruppetto di amici là, un altro con altri amici poco oltre, alcuni davanti alla segreteria, altri al banco del bar, … tutti più o meno con le persone più familiari per storia ed età.
Era come vedere cinquant’anni di storia di san Pio in un colpo solo!
Che grazia sconfinata poter vedere che la vita è davvero come le onde del mare: il placido ripetersi di un movimento che, ora con forza ordinata, ora con furia impetuosa, plasma la riva, che siano scogliere o banchi di sabbia.

La Chiesa in fondo è così, un luogo plasmato dal suo stesso cammino, un luogo plasmato da un amore che c’è sempre, e che, complice il tempo, plasma anche le nostre vite.

D’altra parte vedevo i bambini giocare nel salone dell’oratorio e ciò che vedevo mi colpiva perchè loro sono capaci di attraversare il tempo e lo spazio senza problemi; non hanno problemi a giocare con uno più grande o più piccolo, presi dal loro giocare non hanno il problema a sgusciare tra gli adulti interrompendo i loro dotti discorsi: i bambini hanno così chiaro lo scopo del loro esistere che non hanno bisogno di ragioni o di spiegazioni, loro vivono per crescere.
Ecco, credo che il tempo di Avvento che in molti abbiamo iniziato abbia bisogno di questa posizione: una fame reale dell’amore che Cristo ci ha portato, fino al punto da non avere altro da difendere e cercare.


dalla liturgia ambrosiana:

Elisabetta nacque nel 1207 in Ungheria, dal re Andrea II, nel castello di Saros Patak, vicino a Budapest, ma ancora bambina venne trasferita nel castello di Wartburg, promessa sposa a Lodovico, figlio del Langravio di Turingia. Giunta in età di sposarsi, si celebrarono le nozze e fu un matrimonio felice, con profonda intesa spirituale tra i due coniugi, entrambi affascinati – attraverso la mediazione del loro confessore, il francescano frate Rüdiger – dalla figura di Francesco d’Assisi, ancora vivente.
Quando stava per nascerle la terzogenita, morì Lodovico, nel viaggio intrapreso per prendere parte alla crociata guidata dall’imperatore Federico II. Elisabetta aveva vent’anni, e non volle accettare la proposta di un altro matrimonio; rinunziando a ogni cosa, passò il resto della vita a servire gli ammalati, per i quali volle anche far edificare, con la sua dote, un ospedale a Marburgo, dedicandolo a san Francesco.
Morì quattro anni dopo, il 17 novembre 1231, venerata da tutti, ispiratrice di un modello di vita per quelle donne che, pur rimanendo nell’ambito della vita civile, si dedicavano integralmente alla preghiera e al servizio dei poveri. Da lei presero il nome di “elisabettine”.

In quel tempo. Mentre il Signore Gesù camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

Vangelo secondo Matteo 4,18-25.

L’Avvento di Dio nella vita degli uomini comincia con una chiamata, credo sia una questione davvero importante e per certi versi decisiva: il venire di Dio ha bisogno del sì, della compagnia dell’uomo; se Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni, non avessero ricevuto una domanda esplicita magari non si sarebbero nemmeno accorti del passaggio di Gesù, e comunque non avrebbero lasciato la loro vita per iniziare un nuovo cammino.
Questo fa emergere non solo la richiesta di un amore condiviso ma anche il bisogno che la sequela sia vera, fino al punto da rinunciare a ciò che si ha, e a ciò che si è.
Il punto che mi interroga è volgere su di me la questione: come rispettare la libertà dell’altro mentre gli si propone di dare tutto? Perchè in fondo la questione è tutta nella sfida che si lancia: sareste liberi nel chiedere a qualcuno di dare tutto?
Tutto ciò mi rende evidente che il punto di partenza, al di là di tutto è che io posso chiedere solo ciò che ho compiuto: non posso chiedere di dare tutto per Cristo se io non vivo almeno il desiderio grande di dire il mio sì.


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale

4. La spiritualità pasquale anima la fraternità.
“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cfr Gv 15,12)


Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti.
Credere nella morte e risurrezione di Cristo e vivere la spiritualità pasquale infonde speranza nella vita e incoraggia a investire nel bene. In particolare, ci aiuta ad amare e alimentare la fraternità, che è senza dubbio una delle grandi sfide per l’umanità contemporanea, come ha visto chiaramente Papa Francesco.

La fraternità nasce da un dato profondamente umano. Siamo capaci di relazione e, se lo vogliamo, sappiamo costruire legami autentici tra di noi. Senza relazioni, che ci sostengono e che ci arricchiscono sin dall’inizio della nostra vita, non potremmo sopravvivere, crescere, imparare. Esse sono molteplici, diverse per modalità e profondità. Ma certo è che la nostra umanità si compie al meglio quando siamo e viviamo insieme, quando riusciamo a sperimentare legami autentici, non formali, con le persone che abbiamo accanto. Se siamo ripiegati su noi stessi, rischiamo di ammalarci di solitudine, e anche di un narcisismo che si preoccupa degli altri solo per interesse. L’altro si riduce allora a qualcuno da cui prendere, senza che siamo mai disposti davvero a dare, a donarci.

Sappiamo bene che anche oggi la fraternità non appare scontata, non è immediata. Molti conflitti, tante guerre sparse nel mondo, tensioni sociali e sentimenti di odio sembrerebbero anzi dimostrare il contrario. Tuttavia, la fraternità non è un bel sogno impossibile, non è un desiderio di pochi illusi. Ma per superare le ombre che la minacciano, bisogna andare alle fonti, e soprattutto attingere luce e forza dal Colui che solo ci libera dal veleno dell’inimicizia.

La parola “fratello” deriva da una radice molto antica, che significa prendersi cura, avere a cuore, sostenere e sostentare. Applicata a ogni persona umana diventa un appello, un invito. Spesso pensiamo che il ruolo di fratello, di sorella, rimandi alla parentela, all’essere consanguinei, al far parte della stessa famiglia. In verità, sappiamo bene quanto il disaccordo, la frattura, talvolta l’odio possano devastare anche le relazioni tra parenti, non soltanto tra estranei.

Questo dimostra la necessità, oggi più che mai urgente, di rimeditare il saluto con cui San Francesco d’Assisi si rivolgeva a tutte e a tutti, indipendentemente da provenienze geografiche e culturali, religiose o dottrinali: omnes fratres era il modo inclusivo con cui San Francesco poneva sullo stesso piano tutti gli esseri umani, proprio perché li riconosceva nel comune destino di dignità, di dialogo, di accoglienza e di salvezza. Papa Francesco ha riproposto questo approccio del Poverello di Assisi, valorizzandone l’attualità dopo 800 anni, nell’Enciclica Fratelli tutti.

Quel “tutti”, che significava per San Francesco il segno accogliente di una fraternità universale, esprime un tratto essenziale del cristianesimo, che sin dall’inizio è stato l’annuncio della Buona Notizia destinata alla salvezza di tutti, mai in forma esclusiva o privata. Questa fraternità si basa sul comandamento di Gesù, che è nuovo in quanto realizzato da Lui stesso, compimento sovrabbondante della volontà del Padre: grazie a Lui, che ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, noi possiamo a nostra volta amarci e dare la vita per gli altri, come figli dell’unico Padre e veri fratelli in Gesù Cristo.

Gesù ci ha amato sino alla fine, dice il Vangelo di Giovanni (cfr 13,1). Quando è oramai prossima la passione, il Maestro sa bene che il suo tempo storico sta per concludersi. Teme ciò che sta per accadere, sperimenta il supplizio più terribile e l’abbandono. La sua Risurrezione, al terzo giorno, è l’inizio di una storia nuova. E i discepoli diventano pienamente fratelli, dopo tanto tempo di vita insieme, non solo quando vivono il dolore della morte di Gesù, ma, soprattutto, quando lo riconoscono come il Risorto, ricevono il dono dello Spirito e ne diventano testimoni.

I fratelli e le sorelle si sostengono a vicenda nelle prove, non voltano le spalle a chi è nel bisogno: piangono e gioiscono insieme nella prospettiva operosa dell’unità, della fiducia, dell’affidamento reciproco. La dinamica è quella che Gesù stesso ci consegna: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). La fraternità donata da Cristo morto e risorto ci libera dalle logiche negative degli egoismi, delle divisioni, delle prepotenze, e ci restituisce alla nostra vocazione originaria, in nome di un amore e di una speranza che si rinnovano ogni giorno. Il Risorto ci ha indicato la via da percorrere insieme a Lui, per sentirci e per essere “fratelli tutti”.


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