Lunedì 20 gennaio 2025

Cominciando a sistemare i libri mi è tornato tra le mani il mio primo libretto delle ore, che ora ha quasi cinquant’anni, in fondo, a matita sulla carta incollata alla copertina di plastica, c’è ancora la preghiera di padre de Granmaison che un’amica mi aveva scritto perché anch’io potessi dirla con loro dopo la recita dell’ora media. A quel tempo era così. Vedere quel libretto, rileggere quei segni di matita, mi ha risvegliato una immensa gratitudine: c’è una storia che seminata fiorisce e cresce. E non sai né quando né come. 

Lo pensavo ieri sera in auto, perché nella giornata avevo fatto quattro battesimi, e mi scoprivo lieto per aver messo quel seme di Vita nelle vite di quei quattro bimbi. Non c’è certezza di ciò che sarà ma l’inizio contiene già la meta.

Così fa il buon Dio con noi, accade, e poi lascia che facciamo le nostre strade.

Per il resto vedremo.


dalla liturgia ambrosiana:


In quel tempo.
Il Signore Gesù con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.

Vangelo secondo Marco 3,7-12.

C’è una forma di comunicazione che arriva a tutti e che viene dal fascino delle cose: quello che ci conquista desideriamo, quasi involontariamente, raccontarlo a tutti. Quello che è per me, davvero, desidero che sia per tutti. E così accade che tanti accorrono da Cristo.

Ma il criterio della verità delle cose non consiste nel loro fascino, anche il male talvolta affascina, la verità delle cose viene dal loro rimandare alla loro radice, al senso del loro esserci. Gesù affascina perché risveglia negli uomini la nostalgia di quel Bene per cui siamo fatti, e a cui lui obbedisce.

Per questo non vuole che gli spiriti impuri dicano chi egli sia: non ha bisogno di una pubblicità, ha bisogno solo che le persone comincino a guardare dove guarda lui.

Che sia questa la ragione del nostro seguirlo.

Sebastiano era originario, da parte del padre, della Gallia, probabilmente della città di Narbona, e di madre milanese. A Milano venne educato nella fede cristiana. Arruolato nell’esercito di Diocleziano intorno al 283, divenne capo della prima coorte della guardia imperiale di Roma. Allo scoppio della persecuzione di Diocleziano, sfruttando la sua posizione a corte, aiutò molti cristiani rinchiusi in carcere, e per questo fu condannato a morte dall’imperatore. Venne sepolto sulla via Appia, nelle catacombe che più tardi prenderanno il suo nome. Di lui ci parla sant’Ambrogio nella 20ª Omelia sul salmo 118.
A queste poche notizie storiche se ne aggiungono altre leggendarie, scritte nella Passio del monaco Arnobio il giovane. La condanna a morte del soldato romano venne eseguita su ordine di Diocleziano da un gruppo di arcieri in aperta campagna: legato a un albero e trafitto da frecce, fu lasciato in pasto agli animali selvatici. La matrona romana Irene, andata a raccoglierne il corpo, trovò Sebastiano ancora vivo. Portatolo a casa lo curò. Recuperata la salute, andò al palazzo imperiale a rimproverare l’operato di Diocleziano contro i cristiani. Stupito nel rivederselo davanti, l’imperatore questa volta lo fece fustigare a morte e gettare nella cloaca della città. Lucina, un’altra matrona, ne recuperò il corpo e gli diede sepoltura cristiana. La “Depositio martyrum”, il più antico calendario di Roma, segnala il luogo originario del suo sepolcro ‘ad catacumbas’.
Per le sue piaghe, Sebastiano è invocato come protettore degli appestati, e a Milano, durante la peste del 1576-77, san Carlo Borromeo ne rivivificò il culto.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

3. Realtà «provvidenziale»

Non solo l’uomo si accorge che questa inesorabile presenza è bella, attira, è consona a sè nel suo ordine: constata anche che essa si muove secondo un disegno che può essergli favorevole.


Per rendersi conto che la realtà è positiva non occorre quindi uno sforzo intellettuale, ciò che occorre, è solo la fatica di vivere la vita con la libertà di provare a guardarci dentro davvero. L’inesorabile presenza è quindi inesorabile innanzitutto perché quel suo esserci è davvero inevitabile criterio di rapporto e di conoscenza del dato.


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