Stanchezza e cuor leggero.
Mai, come in questi giorni, mi è parso di essere dentro un vortice, dove la stanchezza fisica mi porta alla sera a non vedere l’ora di andare a riposare. Ma mai, come in queste settimane, mi ritrovo lieto e quindi non schiacciato da questo impegno a dare tutto.
Vedo crescere in me la passione per l’istante, che si attesta davanti alla vita intera come tutto ciò che serve al mio compimento: non ho progetti, calcoli o attese che non siano il vivere sempre più quell’amore che mi ha preso per mano.
Ma questo non è ancora quel tutto che vorrei, la vertigine di appartenere a qualcosa che non faccio io mi lascia sempre desideroso di un di più, a questo proposito Lucio Dalla canta: “non mi basti mai”, ed è vero, tutto quello che ho non basta e non tiene di fronte a ciò che verrà nell’istante prossimo; ed ogni istante porta in sè un compimento più certo e vicino.
Racconto questo per dire che sono stupito per la pace che porto e per la mia continua agitazione, come se in me vivessero due opposti che si incrociano continuamente. E mi domando da dove venga questo equilibrio perennemente instabile.
Mi torna alla mente il don Gius:
“Man mano che maturiamo, siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri. Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella Grazia che ci viene Donata e rinnovata ogni mattino. Da qui viene quella baldanza ingenua che ci caratterizza, per la quale ogni giorno della nostra vita è concepito come un’offerta a Dio, perché la Chiesa esista dentro i nostri corpi e le nostre anime, attraverso la materialità della nostra esistenza.”
dalla liturgia ambrosiana:
Giovedì della II° domenica dopo l’EPIFANIA
In quel tempo.
Vangelo secondo Marco 4,1-20.
Il Signore Gesù cominciò a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
Quello che mi colpisce è in quella distanza: tra Gesù e la gente c’è una distanza. Per una ragione di sicurezza ma, credo, anche per darci l’idea che quello che conta non è tanto l’essere vicini a Gesù quanto che la Sua parola sia ascoltata da tutti e da tutti ascoltabile. Quello che mi pare sia importante è la sottolineatura che l’insegnamento di Cristo venga prima di tutto. Ma noi che rapporto abbiamo con il suo insegnamento? Spesso tutto il nostro lavoro di discepoli consiste nel non perdere la vicinanza con Gesù mentre dovremmo innanzitutto ascoltare ciò che ci insegna.
Una compagnia senza una direttiva, è pericolosa perché si rischia di avere una compagnia “anarchica” o, peggio, una comunità costruita su sè stessa, con la scusa di Cristo. Chiediamo di poter imparare ad ascoltare sempre più ciò che Gesù ci insegna, nel silenzio e nella scrittura; ne guadagnerà la nostra consapevolezza di noi ma anche la vita della chiesa.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 10
Come si destano le domande ultime: itinerario del senso religioso
4. L’io dipendente
Io sono «tu-che-mi-fai». Soltanto che questo «tu» è assolutamente senza faccia; uso questa parola «tu» perchè è la meno inadeguata nella mia esperienza d’uomo per indicare quella incognita presenza che è, senza paragone, più della mia esperienza d’uomo. Quale altra parola dovrei usare altrimenti?
«Tu» è un inizio ma è un inizio certo: dietro il fatto che ci sono, non c’è solo un destino buono ma un volto, e questo lo posso dire anche senza conoscere i lineamenti di quel volto. Dire «tu» è certamente un segno immenso: conosciamo senza conoscere, e cosi, stando davanti a questo essere costituiti da Altro, cominciamo a credere in uno Sconosciuto, come accadde a tanti personaggi del Vangelo: cominciarono ad amare uno che non conoscevano, a fidarsi di un nome che non aveva ancora volto, e dire sì, dando sé stessi, a un uomo che passava per la strada.
Buon giovedì,
donC
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