Lunedì 27 gennaio 2025

L’ho rischiato un pò di volte ma ieri mattina l’ho fatto: sono entrato in doccia con gli occhiali sul naso, e poi me ne sono accorto quando quando stavo per lavarmi la faccia!

Possiamo invocare la stanchezza, o se volete “quella” malattia, ma il problema non è quello di giustificare una sciocchezza commessa per distrazione. Il problema vero è che rischio sempre di fare le cose distratto. Sei qui e pensi a ciò che sarà dopo, agli impegni e alle cose da fare quando sarà concluso quello che stai facendo, come se fosse un ostacolo. Così non sono quasi mai al presente. Com’è difficile esserci tutto e per intero.

E non parlo, evidentemente, solo del rapporto con Gesù ma di ogni cosa che faccio nella mia giornata: che sia essere presente a me sotto la doccia o quando dico la Messa è comunque una cura che devo ancora imparare.

Credo che questo spieghi bene l’insistenza che don Giussani ha sempre avuto sull’intensità dell’istante, insistenza che io non ho mai troppo capito, se non in modo moralistico. Tutto si compie ora.

Se Gesù venisse a chiamarmi mentre sono sotto la doccia vorrei non essere altrove con la testa.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Il Signore Gesù diceva a quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Vangelo secondo Marco 4,10b. 24-25.

“Fate attenzione a quello che ascoltate”. Questo è il primo invito contenuto in queste brevi righe; ed è l’invito netto a non dare nulla per scontato o per certo, senza una verifica e un paragone; la via per compiere questo dovere chiede però di avere un criterio per poter dare un giudizio: cosa cerchi nella vita? cosa cerchi in questa giornata? Non sapere cosa è bene per sè porta a non sapere come giudicare le cose.

Secondo: una seconda indicazione ci è data dalla questione della misura; come misuri così sarai misurato. Se la prima riguardava il soggetto, questa seconda indicazione richiama al rapporto con gli altri. E qui è evidente che la misura non può essere quello che mi aspetto ma sempre e solo ciò che è bene: guardare gli altri in base all’attesa del cuore è guardare con quella verità e carità che vorremmo essere applicata a noi. Qual è l’attesa che abbiamo verso chi incontriamo? Come guarderò le persone oggi?

Apparteneva all’antica famiglia milanese dei Settala ed alla fine del sec. XII era parroco di Cuasso che allora comprendeva le attuali parrocchie di Cuasso al Piano, Cuasso al Monte, Brusimpiano Porto Ceresio e Besano, in diocesi di Milano presso il ramo sud-occidentale del lago di Lugano.
Supernamente chiamato alla vita eremitica lasciò la cura pastorale e si ritirò sulle alture del S. Giorgio, la solitaria montagna incuneata tra i bracci meridionali del Ceresio, «ubi vitam aliquamdiu asperrimam ducens, totum se rerumDivinarum contemplationi addixit cuius sanctitatem Deus in morte testatam voluit».
Attratte dalla fama della sua santità, accorrevano a lui, implorando consiglio ed intercessione le popolazioni delle regioni circostanti – comasche, varesine, milanesi – tra le quali si distinsero, nel 1207, gli abitanti di Olgiate Comasco.che, afflitti da mortale contagio, chiedevano al beato scampo e conforto. Il santo eremita li esortò a recarsi pellegrini alla tomba di s. Gerardo, che da poco era morto a Monza (6 giugno 1207). Compiuto devotamente il pio pellegrinaggio, il morbo subitamente scomparve, ed il popolo di Olgiate con decisione unanime elevò nel borgo in onore di s. Gerardo una bella chiesa, divenuta poi mèta didevozione e di pellegrinaggi, e che nel 1938 fu restaurata ed abbellita; e fece voto perpetuo che il popolo olgiatese, ogni anno, si recasse collegialmente al sepolcro monzese del santo, a ricordo dell’antico prodigio.
La storiografia manfrediana, basata su antiche tradizioni e rispettabili documenti, è ricca di prodigi attribuiti all’intercessione del santo eremita.
È certo, per sicurissime testimonianze, che il beato mori il 27 gennaio 1217, ed il distico di Nicola Brauto, riportato dal Tatti (Annali, Dec.II, p. 551), ricorda il suono miracoloso delle campane dei paesi vicini nell’ora del suo decesso, e la scelta del luogo della sepoltura disputata da molte chiese – lasciata al capriccio dei buoi aggiogati al carro funebre: «Manfredi mortem produnt agitata metalla, Dissidium tumuli composuere boves».
Il corpo del Settala fu sepolto nella plebana di Riva S. Vitale, ai piedi del monte S. Giorgio, allora in diocesi di Como, dal 1888 di Lugano. Nel 1387, per ordine del vescovo di Como, Beltramo da Brossano, le spoglie del beato furono collocate in arca marmorea «super et prope altare, affinché in avvenire al memorato beato Manfredo da tutti i fedeli cristiani sia prestata una maggiore devozione e riverenza».
Nel 1633, collocato il corpo in un’urna preziosa, questa fu deposta sotto la mensa dell’artistico altare maggiore, dove è attualmente venerato, e dove diverse parrocchie della regione, in domeniche distinte, convengono in devoto pellegrinaggio annuale.
Sulle pareti del presbiterio due belle tele di Giov. Batt. Bagutti (1774-1823) di Rovio raffigurano il trapasso del beato nella solitudine montana ed il suo trasporto dal S. Giorgio alla plebana di Riva.
La festa liturgica si celebra il 27 gennaio, che a Riva è considerato giorno festivo; mentre la domenica seguente si ripete, con ingente concorsodi forestieri e appropriato addobbo delle vie, poiché la devozione al beato è tuttora vivissima nella regione. La vigilia della festa si usa ancora distribuire in tutte le famiglie il pane benedetto.

(autore: Piero Gini)


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

4. L’io dipendente

L’io, l’uomo, è quel livello della natura in cui essa si accorge di non farsi da sé. Così che il cosmo intero è come la grande periferia del mio corpo senza soluzione di continuità.


Quante volte ho letto questa frase e mi sono sempre fermato alla prima parte! Che io non mi faccia da me è una cosa che devo imparare ad ogni istante della vita e rischio sempre di fermarmi a questa sottolineatura. Qui don Giussani si spinge molto oltre, così in là, per me, che non coglievo la seconda parte: il cosmo è la periferia di me: come io non mi faccio da me così il cosmo intero non si fa da sé, e per questo è da guardare come un prolungamento dell’io. Da qui viene non solo la commozione per la bellezza del creato ma soprattutto la cura di esso come parte di me, la cura che ho per me deve essere per quello che mi circonda.


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