Ennesimo funerale; questa settimana siamo ad otto, e la settimana non è ancora finita. Mentre celebravo mi sono distratto, uno dei figli stava parlando al termine della Messa e ricordava tante cose della sua mamma, di quello che aveva fatto, di quello che era accaduto nell’arco di una vita. E io pensavo che non mi ricordo nulla, ho solo qualche ricordo e spesso confuso con altri momenti.
Poi ad un certo punto si è accesa una lampadina: in paradiso, il luogo del compimento, potremo avere in mente tutto, ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo; pensate che bello poter ricordare tutto e gustare tutto ciò che abbiamo vissuto, magari senza capire e renderci conto dell’importanza che aveva quell’istante per la vita intera.
E questo vale per i momenti belli e anche per i nostri limiti ed errori: ci staranno sempre davanti, non per condannarci, ma per poter continuamente chiedere a Gesù di amarci, per poterci stupire che mentre sbagliavamo Lui non guardava il male ma dava la vita per amore nostro.
“Quando noi vedremo tutto, quando tutto sarà chiaro, pensa un pò che risate”, cantava Claudio Chieffo. Ho bisogno di quel momento per poter essere eternamente certo, ed eternamente appartenente.
dalla liturgia ambrosiana:
Giovedì della III° domenica dopo l’EPIFANIA
In quel tempo. Il Signore Gesù e i discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
Vangelo secondo Marco 5,1-20.
“Che vuoi da me, Gesù?” forse occorre essere spiriti impuri per stare davanti a Gesù con questa domanda aperta, piuttosto che stare davanti a Gesù chiedendo che soddisfi le nostre attese e le nostre immagini? Certe volte capisco che anche nel confronto con Gesù il punto sia la nostra immagine e non il rapporto con Lui. In fondo sappiamo di cosa abbiamo bisogno e non sarà certo Lui a rivelarci il nostro vero bisogno.
Partendo da questa osservazione si intuisce subito che sia questa la ragione profonda per cui gli abitanti di quei luoghi chiedono, pregano, che Gesù se ne vada di là: quello che chiede è molto al di sopra delle loro disponibilità, e loro vogliono essere padroni di sè stessi.
E non basta nemmeno aver visto il miracolo; non basta nemmeno aver vissuto un incontro, per poter avere la libertà di affidare tutto a quell’istante.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 10
Come si destano le domande ultime: itinerario del senso religioso
Conclusione
La formula dell’itinerario ultimo della realtà qual è? vivere intensamente il reale. … L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale.
Qui un pericolo, in cui possiamo facilmente incorrere, è quello di confondere le questioni: vivere intensamente non significa “con tante cose da fare”, la vita è vissuta intensamente non per una abbondanza di impegni, altrimenti i monaci sarebbero i primi non religiosi. L’intensità è anche dentro uno sguardo, un gesto. Vivere intensamente è l’impegno a vivere le cose secondo la loro ragione, guardando delle persone, e delle cose, il destino buono che ce le ha regalate. Penso sia ciò che diceva don Giussani parlando della sacralità dell’istante.
Buon giovedì,
donC
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