Mi ero svegliato pimpante, in realtà con la schiena rigida come cemento armato, ma lieto e desideroso di buttarmi nella giornata, così ho cominciato subito con il sistemare le cose più noiose e tutto è filato liscio fino alla Messa, durante la quale sono successe due cose che mi hanno “stortato”: qualcuno aveva nuovamente messo mano ai volumi dell’impianto audio, così tutto stava fischiando! Questo capita sovente perché, essendo diversi i sacerdoti che celebrano, diversi sono i volumi delle voci e di conseguenza dell’impianto voci. A fin di bene ciascuno tocca … e poi lascia tutto così. Quindi i volumi sono in un continuo, inaspettato e perenne cambiamento.
Lì mi sono fermato un istante, dovevo decidere se lasciarmi prendere dal disappunto per un rumore o se dovevo ascoltare quel rumore grato perché c’era stato qualcuno che desiderava che tutti potessero sentire bene. A dire il vero, avendo scelto per la seconda ipotesi, devo confessare che nemmeno l’avere una ragione toglie il fastidio per il fischio nelle orecchie, anche se poi la ragione aiuta ad essere in pace.
Arriviamo poi all’offertorio della Messa, dove mi accorgo che non ho riempito le ampolline dell’acqua e del vino necessari per celebrare, le avevo lasciate così com’erano dalla sera prima e ora avevo solo poche gocce di vino e poca acqua.
Mentre ero indignato con me stesso per la trascuratezza: la sciatteria nella celebrazione mi dà sempre fastidio ma quando l’origine di tutto questo sono io allora davvero mi viene male, proprio mentre versavo l’acqua nel calice mi sono scoperto a dire a Gesù: “oggi devi accontentarti del poco che ti posso offrire”. Poi mentre facevo la preghiera sui doni mi sono detto: “ma è sempre poco quello che posso offrirti e tu vieni comunque a donarci te, sempre e sempre tutto”.
Ho finito la Messa della mattina alle 8 con questa baldanzosa certezza: “Nessuno potrà mai separarci dall’amore di Cristo!” (Rm 8).
dalla liturgia ambrosiana:
Venerdì della IV° domenica dopo l’EPIFANIA
In quel tempo.
Vangelo secondo Marco 7,1-13.
Si riunirono attorno al Signore Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è ‘korbàn’, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Quanto spesso “lodiamo con le labbra” mentre il cuore è preso da mille altre occupazioni e preoccupazioni? Eppure, sebbene sappia di questo nostro formalismo, e la cosa mi commuove e ferisce, come un vero Amante, Gesù non smette mai di darci tutto di sé e di ciò che occorre alla nostra vita.
Il punto dirimente mi pare piuttosto quello in cui Gesù affronta a viso aperto la questione del ‘Korban’; non accetta che ci si giustifichi dietro di Lui per poter evitare di fare ciò che dovremmo: l’amicizia e l’amore si verificano nella loro apertura agli altri e non tanto nel chiudersi nel rapporto che pure ci definisce. Gesù accoglie la nostra dimenticanza di Lui ma non accetta che il ricordo di Lui sia dimenticanza degli altri, specie di chi ci ama.
Amare gli altri è il vero korban che ci è chiesto. Come diceva il vangelo letto ieri: “date loro voi stessi da mangiare”.
memoria delle sante Perpetua e Felicita, martiri
Durante la persecuzione di Settimio Severo, probabilmente il 7 marzo 203, morirono a Cartagine, nel Nord Africa, Perpetua, Felicita e altri quattro compagni. La passio di Perpetua e Felicita è fra i racconti più commoventi dell’antichità cristiana, perché ci fa conoscere, oltre alla loro altissima confessione di fede, i profondi rapporti di fraternità che esistevano fra i cristiani.
Perpetua, ventiduenne, di famiglia nobile, era sposata e aveva un bambino ancora lattante che teneva con sé in carcere. I suoi familiari erano cristiani, tranne il padre che tentò di tutto per convincerla ad abiurare.
Felicita, ancella di Perpetua, si trovava all’ottavo mese di gravidanza. Fra le due donne, la sintonia era perfetta, perché la fede cristiana le aveva rese più che sorelle. La legge di allora proibiva di esporre nell’arena, al supplizio, le donne incinte. Felicita però, tre giorni prima del martirio dei compagni, diede alla luce una bambina. Mentre si lamentava nelle doglie del parto, i carcerieri le dissero: “Ti lamenti ora, e quando dovrai subire i tormenti del martirio, cosa farai?”. Felicita rispose: “Ora sono io a soffrire, là ci sarà un Altro in me, che soffrirà per me, poiché io patisco per lui”.
Il giorno del martirio, nell’anfiteatro, Perpetua incoraggiava i suoi compagni contrapponendo alle urla della folla il canto dei salmi. Le due donne furono attaccate dalle cornate di una mucca infuriata e conclusero il martirio con la iugulazione. Il racconto del martirio di Perpetua e Felicita, per la sua singolarità, si è diffuso come una delle glorie del Nord Africa. Il loro culto si è esteso al di là della tradizione latina, anche nella Chiesa greca e nella Chiesa siriana. I loro nomi furono inseriti nella preghiera del canone romano. Il calendario romano ne celebra la memoria il 7 marzo.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 11
Esperienza del segno
1. Provocazione
… il mondo, il reale mi provocano ad altro, altrimenti uno non si domanderebbe perchè, non si chiederebbe come. Non sono una pura registrazione di quello in cui s’imbatte lo sguardo della mia coscienza; sono tutto perturbato da questo rapporto con il reale, e sospinto oltre l’immediatezza.
Ecco da dove viene tanta insistenza sull’autocoscienza: abbiamo ridotto il nostro rapporto con le cose alla pura registrazione, così di nulla ci si deve preoccupare se non di godere della bellezza o della fatica dell’istante. Ma in realtà, uso le parole di don Giussani, la realtà continua a “perturbarci” ma è come se si fosse poi bloccata la ragione: vediamo le cose, ne restiamo colpiti ma poi ci fermiamo lì, ci accontentiamo dell’emozione. E finiamo con il vivere di sogni: attendiamo sempre il ripetersi di qualcosa che ci cambi la vita, mentre il cambio di noi è un lavoro, è un “sacrificare”, dare, sé.
Buon venerdì,
donC
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