Lunedì 10 febbraio 2025

Sabato mattina ero a celebrare un matrimonio, dalla posizione del celebrante, alzando gli occhi, vedevo solo le piante dei piedi del grande crocifisso appeso sopra l’altare. E mi ha colpito e affascinato quell’immagine. La pianta dei piedi di Gesù è come il volto di Gesù; porta in sè l’impronta del Padre come ogni singola cellula della sua persona.

Ma i piedi sono la concretezza di una storia, la rappresentazione di un cammino che è un imbrattarsi della realtà di questo mondo. Anzi i piedi sono lo strumento di congiunzione tra la terra e il cielo, per questo il Cristo morto del Mantegna mi ha sempre colpito: quei piedi davanti a tutto sono il collegamento tra me e il volto di Gesù. Senza di essi conoscerlo parrebbe impossibile, senza l’incarnazione sarebbe impossibile arrivare a Dio.

Una volta dovevi avere schifo delle cose “sporche” e tutti si curavano solo di mostrare ed esaltare le virtù, le qualità e le bellezze delle persone, ma non scordiamolo mai: Gesù lava i piedi ai suoi amici più veri. Noi siamo disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri?

Di Gesù amiamo tutto: il volto, le piaghe, il cuore, le braccia distese sulla croce, il capo coronato di spine, il costato trafitto, ma siamo disposti come Gesù a lavare e baciare le Sue piante dei piedi? E siamo disposti a baciare il limite dei nostri amici?


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Chiamata di nuovo la folla, il Signore Gesù diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

Vangelo secondo Marco 7,14-30.

Come mai l’evangelista mette insieme due cose che all’apparenza risultano diverse? Semplicemente perché ciò che esce dalla bocca della donna siro-fenicia è un segno evidente e macroscopico della fede: le parole con cui si rivolge a Gesù sono quelle di una madre che ama e che per questo osa chiedere anche ciò che parrebbe impossibile.

Dalla donna esce il suo cuore, il suo infinito bisogno che la figlia sia liberata dal male, e questo gesto di fede è addirittura capace di far cambiare opinione a Gesù.

Quanto spesso invece siamo noi a chiedere che accada qualcosa che ci porti alla fede, in questo caso non è il grido del cuore che porta alla fede ma la persuasione indotta da un fatto esterno: e Gesù su questo non è molto indulgente, “voi mi cercate perchè avete mangiato dei pani”.

Avere incontrato Gesù ci deve portare a riconoscere che è la nostalgia di Lui la chiave del rapporto di fede e non la nostra presunta fedeltà: mettere tutto nelle sue mani è la cosa più bella che possiamo fare da credenti.


Oggi le Chiese d’Oriente e d’Occidente ricordano Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia. Personaggio avvolto nel mistero; di Scolastica si conosce soltanto ciò che il biografo di Benedetto, Gregorio Magno, ha lasciato scritto nel secondo libro dei Dialoghi.
Essa era stata votata alla vita religiosa sin dall’infanzia, ed era solita far visita al fratello Benedetto a Montecassino una volta all’anno. In una delle più belle pagine dell’opera di Gregorio è descritto l’ultimo incontro fra Scolastica e il fratello. Questi, al calar della sera, voleva fare ritorno al proprio monastero, fedele alla Regola, ma Scolastica, che presentiva la propria fine ormai vicina, pregò il Signore di potersi intrattenere tutta la notte con Benedetto, per condividere con lui nella preghiera e nella conversazione la sua ardente attesa di Dio.
La leggenda vuole che un improvviso temporale impedisse a san Benedetto di muoversi: Scolastica aveva prevalso, commenta Gregorio, sulla riluttanza di Benedetto, perché aveva saputo mostrare un amore più grande di quello del fratello. Scolastica ricorda a tutti noi che al di là delle leggi e delle regole che ci possiamo dare per camminare sulle tracce del Signore, non esiste via più sicura dell’amore, perché Amore è il nome stesso di Dio.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

1. Provocazione

     Dall’immagine tesa
       vigilo l’istante
       con imminenza di attesa –
       e non aspetto nessuno:
      nell’ombra accesa
       spio il campanello
       che impercettibile spande
       un polline di suono –
       e non aspetto nessuno:
      fra quattro mura
       stupefatte di spazio
       più che un deserto
       non aspetto nessuno.
       Ma deve venire,
      verrà, se resisto
       a sbocciare non visto,
       verrà d’improvviso,
       quando meno l’avverto.
       Verrà quasi perdono
      di quanto fa morire,
       verrà a farmi certo
       del suo e mio tesoro,
       verrà come ristoro
       delle mie e sue pene,
      verrà, forse già viene
       il suo bisbiglio.

Non ho resistito. Non metto mai un commento alle citazioni di don Giussani e anche questa volta non l’avrei fatto, ma questa poesia mi pare meriti un’eccezione, da alcuni giorni ci sto lavorando e la trovo una sintesi perfetta di ciò che andiamo dicendo sull’uomo. Mi entusiasma il fatto che qui si mostri come nell’uomo tutto sia teso all’incontro e, … aggiungerei io venga mostrato cosa si debba conservare perchè l’incontro sia il fatto che definisce la vita intera. Quel giorno, quell’istante, nessuno più potrai toglierli dal nostro cuore. Mentre tutto diviene occasione di memoria, di ricordo struggente e dolcissimo, capace di farci ricominciare a sorridere e lavorare ad ogni levar del sole.


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