Lunedì 11 agosto 2025

Ieri sono uscito con il caldo che c’era per camminare un pò. Subito mi sono reso conto che era una cosa sciocca ma altrettanti subitamente mi è parso necessario insistere nella mia insanità: se non mi muovo almeno in questi giorni che lo posso fare tra poco non mi muoverò più.
Così, grondante una quantità di sudore che non credevo nemmeno potessi produrre, mi sono diretto verso piazzale Loreto; attraverso vie conosciute e sconosciute, continue giravolte e cambi di direzione, per scoprire cose nuove, sono arrivato nella zona dove ero diretto.

Dapprima mi sono imbattuto in una paio di “studenti di teologia”, di evidente origine asiatica, che hanno cercato di mostrarmi che Dio è innanzitutto madre; dapprima li ho ascoltati con un certo interesse poi ho realizzato che la loro teologia è quella del “sentire comune”, e quindi ho garbatamente chiesto ai due ragazzi che mi dessero le ragioni teologiche della loro affermazione, cosa che non hanno saputo fare.
Io non sono contro la “maternità di Dio” ma, semplicemente, credo che se Dio ci abbia donato le madri è perché in Lui riposa anche questa modalità dell’essere, come esiste la “forma” padre. E Lui può essere sempre quello che vuole.

Così dopo dieci minuti di “discussione”, mentre nemmeno gli occhiali stavano al loro posto per via del sudore che mi colava da ogni parte, ho salutato i due simpatici coreani e mi sono rimesso in cammino.

Salvo che fatti duecento metri mi sono imbattuto in un gruppetto di tre ragazzi messicani mormoni in missione. Loro scelgono nel cammino universitario di dedicare un anno alla missione e alla studio della Bibbia: per prendere maggiore coscienza del loro vivere la fede in Gesù.
A loro ho solo detto che avevo appena incontrato altri ragazzi e che avevo già dedicato del tempo ad ascoltarli; e, a onor del vero, ho anche suggerito che si spostassero perché due gruppi di “testimoni” in duecento metri abbassano le loro possibilità di entrambe i gruppi di incontrare qualcuno disposto ad ascoltarli.

Io sono uscito a malincuore per me, per cercare di fare una cosa utile; quei ragazzi hanno messo tempo denaro e fatica perché altri possano incontrare quello che hanno incontrato loro.
Credo che dovrei prendere più sul serio la mia fede e, forse, dovrei decidere di smettere di guardare a queste presenze come a un “fastidio”.


dalla liturgia ambrosiana:

Chiara nacque ad Assisi nel 1193/94 nella nobile famiglia dei Favarone. Fin da fanciulla avvertì l’appello irresistibile del vangelo di Gesù, e cominciò a donare quanto poteva per alleviare le sofferenze dei poveri. Ma l’incontro con Francesco d’Assisi “le cui parole le sembravano di fiamma e le opere sovrumane” la determinò ad una conversione radicale: nella notte della domenica delle Palme del 1212, dopo aver partecipato alla Messa nella cattedrale e aver ricevuto la palma dalle mani del vescovo, fuggì di casa e scese alla Porziuncola, dove l’attendeva Francesco con i suoi frati.
Qui Chiara, fattasi recidere le chiome e rivestire del rozzo saio dallo stesso Francesco, si consegnò interamente al Signore, iniziando quell’itinerario di sequela che, nella povertà e nell’abbassamento, le consentisse di porre i suoi passi sulle stesse orme del Maestro. Invano lo zio Monaldo, che dopo la morte del padre era suo tutore, tentò di strapparla dalla sua decisione e ricondurla a casa.
Condotta dapprima nel monastero benedettino di Bastia e poi in quello più sicuro di Sant’Angelo in Panzo, su consiglio di Francesco si stabilì a S. Damiano presso la chiesetta che Francesco stesso aveva restaurato, ricevendo da lui “una forma di vita e l’ammonizione a perseverare nella santa povertà ”. Qui l’aveva seguita la sorella Agnese, e ben presto la raggiunse la sorella minore Beatrice e la madre Ortolana, insieme ad altre fanciulle conquistate anch’esse dal suo ideale di vita evangelica. Furono chiamate “le povere dame di S. Damiano”. Chiara e le sue compagne vissero la scelta della povertà radicale, rimanendo fedeli alla “forma vitae” ricevuta nonostante l’opposizione delle autorità della Chiesa e degli stessi frati minori.
Dal papa Gregorio IX Chiara riuscì ad ottenere nel 1228 il privilegium paupertatis, cioè la libertà di non possedere nulla, e tale privilegio inserì nella Regola che scrisse per le sue figlie, approvata dal papa Innocenzo IV, il 9 agosto 1251, solo due giorni prima della sua morte.
Acclamata santa dal popolo, fu canonizzata due anni dopo ad Anagni dal papa Alessandro IV.

In quel tempo. Il Signore Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

Vangelo secondo Luca 11, 1-4.

Di per sé Gesù non aveva ancora parlato di preghiera, meglio, del compito della preghiera nella vita dei suoi discepoli, c’è stato qualche richiamo, ma credo sia decisivo renderci conto che la questione sino a questo capitolo 11 è stata quella della testimonianza. In diverse occasioni si è visto Gesù che si ritira a pregare, e così, episodio dopo episodio i discepoli capiscono che quel gesto è importante, che è una forma di relazione e di rapporto che è indispensabile per la crescita nell’amicizia e nella fede.
A noi nasce il desiderio di ciò che vediamo “vissuto”. Abbiamo testimoni di preghiera?

“Padre, sia santificato il tuo nome”, questa è la prima cosa da dire nella preghiera, ma per dirla occorre farne esperienza, occorre essere coscienti che tutto ci è donato. Cosa semplice, detta così, ma provate a pensare cosa può significare questa prima frase del Padre nostro per una madre che ha appena perso il Figlio, o per un uomo che non trova più il senso del suo vivere, …
Dire questa prima frase è voler mettere in chiaro che innanzitutto la coscienza richiesta a chi crede è quella del “tutto è dono”. Senza la commozione di chi ha ricevuto ogni cosa è davvero difficile poter pregare senza semplicemente mettere davanti noi e i nostri bisogni.
Dicendo “sia santificato il tuo nome” ci mettiamo nella condizione di chiedere con forza, con autorevolezza: “tu, che mi dai tutto, donami anche ciò che ti chiedo”.

E qui mi fermo, altrimenti ne esce un romanzo.


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi nel Vangelo Gesù ci invita a riflettere su come investire il tesoro della nostra vita (cfr Lc 12,32-48). Dice: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina» (v. 33).

Ci esorta, cioè, a non tenere per noi i doni che Dio ci ha fatto, ma a impiegarli con generosità per il bene degli altri, specialmente di chi ha più bisogno del nostro aiuto. Si tratta non solo di condividere le cose materiali di cui disponiamo, ma di mettere in gioco le nostre capacità, il nostro tempo, il nostro affetto, la nostra presenza, la nostra empatia. Insomma, tutto ciò che fa di ciascuno di noi, nei disegni di Dio, un bene unico, senza prezzo, un capitale vivo, pulsante, che per crescere chiede di essere coltivato e investito, altrimenti si inaridisce e si svaluta. Oppure finisce perduto, in balìa di chi, come un ladro, se ne appropria per farne semplicemente un oggetto di consumo.

Il dono di Dio che siamo non è fatto per esaurirsi così. Ha bisogno di spazio, di libertà, di relazione, per realizzarsi ed esprimersi: ha bisogno dell’amore, che solo trasforma e nobilita ogni aspetto della nostra esistenza, rendendoci sempre più simili a Dio. Non a caso Gesù pronuncia queste parole mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove sulla croce offrirà sé stesso per la nostra salvezza.

Le opere di misericordia sono la banca più sicura e redditizia dove affidare il tesoro della nostra esistenza, perché lì, come ci insegna il Vangelo, con “due spiccioli” anche una povera vedova diventa la persona più ricca del mondo (cfr Mc 12,41-44).

Sant’Agostino, in proposito, dice: «Uno sarebbe già contento se da una libbra di bronzo ne ricavasse una d’argento, o da una d’argento una d’oro; ma da quello che si dà si riceve qualcosa di realmente diverso, non oro o argento, ma la vita eterna» (Sermo 390, 2). E spiega perché: «Sarà mutata la cosa data perché sarà mutato colui che dà» (ibid).

E per capire cosa vuol dire, possiamo pensare a una mamma che stringe a sé i suoi bambini: non è la persona più bella e più ricca del mondo? Oppure a due fidanzati, quando sono insieme: non si sentono un re e una regina? E potremmo fare tanti altri esempi.

Perciò, in famiglia, in parrocchia, a scuola e nei luoghi di lavoro, ovunque siamo, cerchiamo di non perdere nessuna occasione per amare. Questa è la vigilanza che ci chiede Gesù: abituarci ad essere attenti, pronti, sensibili gli uni verso gli altri come Lui lo è con noi in ogni istante.

Sorelle e fratelli, affidiamo a Maria questo desiderio e questo impegno: ci aiuti Lei, la Stella del mattino, ad essere, in un mondo segnato da tante divisioni, “sentinelle” di misericordia e di pace, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II (cfr Veglia di Preghiera per la XV Giornata Mondiale della Gioventù, 19 agosto 2000) e come ci hanno mostrato in modo così bello i giovani venuti a Roma per il Giubileo.

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Dopo l’Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

continuiamo a pregare perché si ponga fine alle guerre. L’80° anniversario dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki ha risvegliato in tutto il mondo il doveroso rifiuto della guerra come via per la risoluzione dei conflitti. Quanti prendono le decisioni tengano sempre presenti le loro responsabilità per le conseguenze delle loro scelte sulle popolazioni. Non ignorino le necessità dei più deboli e il desiderio universale di pace.

In questo senso, mi congratulo con l’Armenia e l’Azerbaigian, che hanno raggiunto la firma della Dichiarazione congiunta di pace. Auspico che questo evento possa contribuire a una pace stabile e duratura nel Caucaso meridionale.

Invece la situazione della popolazione di Haiti è sempre più disperata. Si susseguono notizie di omicidi, violenze di ogni genere, tratta di esseri umani, esili forzati e sequestri. Rivolgo un accorato appello a tutti i responsabili affinché gli ostaggi siano liberati immediatamente, e chiedo il sostegno concreto della comunità internazionale per creare le condizioni sociali e istituzionali che permettano agli haitiani di vivere in pace.

Saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini di vari Paesi, in particolare quelli di Woodstock, Georgia, negliStati Uniti, e quelli della diocesi di Down and Connor in Irlanda.

Saluto i membri di Operazione Mato Grosso, da diverse città italiane; e i gruppi parrocchiali di Stezzano, Medole e Villastellone.

Grazie a tutti voi per la vostra presenza e la vostra preghiera. Buona domenica!


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