Lunedì 13 gennaio 2025

Come un criceto sulla ruota.

Il vescovo di Milano, Mario, ha chiesto esplicitamente a tutta la sua diocesi che questo primo mese dell’anno giubilare sia un tempo di riposo. Un tempo in cui non fare nulla se non ciò che davvero è indispensabile. Ma a me in questi giorni sembra di essere come il criceto sulla ruota: più corri, più velocemente la ruota gira, e ti fa correre di più. La mia vita è un mulinello fantastico di incontri.

Tutti considerano quel correre una cosa sciocca, eppure, se devo essere sincero, quella corsa del criceto, quell’affannarsi per stare fermo, per quanto possa sembrare inconcludente è una cosa bellissima. Sono persuaso che almeno lui si diverta e sia contento. E un pò sono così anch’io. Sono contento di quello che faccio, non so bene che frutti potrà dare, ma ciò che è certo è che essere a servizio mi riempie il cuore.

Forse esagero nel paragone ma possiamo augurarci di essere come i criceti sulla ruota? Felici di fare e non di produrre? Coscienti che tutto il darsi da fare assomiglia un pò a quella frase del salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”?

Il povero criceto passa sempre per lo stupido di turno, quello che si accontenta di correre stando fermo, mentre magari se la ride sotto i baffi, proprio di noi che corriamo spesso senza nemmeno sapere dove andiamo.

Certo, in questo modo non sto nemmeno dando ascolto alle sagge parole del mio Vescovo ma credo che lui si riferisca alle incombenze che ci diamo da soli e che ci occupano, appesantendoci, le giornate. Da quelle sono a riposo da un pò. Forse però sarebbe utile qualche sana dormita.


dalla liturgia ambrosiana:


Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Vangelo secondo Marco 1,1-8

Dopo la giornata di ieri, dedicata dalla liturgia alla festa del Battesimo di Gesù, ci imbattiamo oggi nella versione di Marco, del cui testo iniziamo la lettura continua. Metterei in luce due cose: la prima è la prima parola, inizio, che per gli esegeti è decisiva perchè crea il parallelismo tra la vita di Gesù e la buona notizia, per cui il vangelo è la vita di Cristo. Osservazione decisiva perchè ci costringe a guardare un fatto e non semplicemente un annuncio.

Secondo: l’evangelista Marco inizia mettendo in chiaro subito che “quella storia” è stata preparata e annunciata dalla Scrittura e dai profeti.

Due semplici osservazioni che ci aiutano a porre due domande per la riflessione e la preghiera: cos’è per noi il vangelo? Se continuiamo a trattarlo come se fosse “solo” una lettura ho paura che finiremo a leggere per interpretare mentre qui il metodo richiesto è altro. Secondo: che nesso c’è tra la storia di Gesù e la storia tutta? Se ciò che precede prepara, e ciò che segue è un frutto allora tutta la storia umana, come la nostra storia personale, dovrebbe portare a quel centro. Ma davvero il centro della vita è la venuta di Cristo? Il nostro incontro con lui?


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

1. Lo stupore della “presenza”

    Un’altra grande parola deve intervenire a chiarire ulteriormente il significato del «dato»: è la parola «altro, alterità». Per riprendere una immagine già usata, se io nascessi con la coscienza attuale dei miei anni, e spalancassi per il primo istante gli occhi, la presenza della realtà si paleserebbe come presenza di «altro» da me.


Il dato è altro. E mi pare giusto che sia specificato con chiarezza da don Giussani: spesso nemmeno l’idea di dato ci impedisce di dire che ciò che è dato è nostro, è “mio”. Dire che le cose sono altro è un modo semplice perché nel cammino della conoscenza si mantenga una distanza e un rispetto. Credo di poter dire che questo modo di guardare le cose corrisponda in qualche modo all’idea di verginità.


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