Erano le 5,30 quando il cellulare mi ha svegliato.
Mi sono alzato pensando che era un’ora strana per la sveglia, e ci ho messo alcuni minuti per accorgermi che non era la sveglia, quella suoneria, ma il segnale di un messaggio in arrivo: una ragazza scriveva agli amici con quale spirito sta partendo dal Brasile, dopo due mesi di permanenza, per tornare in Italia e cominciare la vita da adulta.
Così la prima cosa che ho fatto è stato leggere quel messaggio comune, e la giornata è iniziata con due motivi di gratitudine:
la mia amica comincia il suo scritto dal dolore di lasciare gli amici conosciuti in questi mesi: volti, storie e realtà che hanno preso il posto dell’interfacoltà e delle ore passate sui libri e con gli amici; una libertà nel mettersi in gioco che mi ha davvero commosso e stupito; ma il fatto esaltante è che per lei anche questo nuovo strappo è dentro la pace e la sicurezza di un Altro che se ne prenderà cura.
Ma quando io guardo così quelli che amo e che vorrei sempre tenere con me?
La seconda cosa che mi ha “spinto” dentro la giornata è che dopo le parole ha messo delle fotografie, volti e luoghi; e qui mi ha sorpreso perché ogni foto era accompagnata dai nomi delle persone o delle cose ritratte.
Non voleva solo farci vedere le cose che ha visto, le persone che ha conosciuto, ci voleva far incontrare i suoi nuovi amici.
Che stridore con il fatto che spesso le cose che mi accadono sono “mie”.
Comincia una settimana dove la guerra continuerà, dove il pensiero rischia sempre di correre alle vacanze come a una distrazione, dove tutto è già programmato e ti ritrovi con una neo laureata che ti corregge raccontandoti di sè, della vita che le scoppia dentro il cuore.
Le cose sono le solite, ma la vita si rinnova.
dalla liturgia ambrosiana:
Lunedì della I° domenica dopo PENTECOSTE
In quel tempo.
Vangelo secondo Luca 4, 14-16. 22-24.
Il Signore Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria».
La cosa che più di tutte mi colpisce in questo brano evangelico è la nettezza con cui Gesù stabilisce che a Nazaret non lo accoglieranno come è accaduto a Cafarnao.
Perché dice quelle parole? Perché è così duro con coloro che lo conoscono da sempre?
Da una parte l’evangelista mette in luce che tutti erano meravigliati e dall’altra evidenzia la loro impossibilità a credere; segno evidente che lo stupore non va confuso con la fede, e segno anche che per credere occorre qualcosa in più. Ciò che segna le parole di Gesù credo sia, a questo punto, la consapevolezza che il sapere chi egli sia, conoscere l’origine di Gesù non aiuti affatto nell’apertura al mistero che in Lui si manifesta: se Gesù è colui che decido io allora non mi aspetterò mai che sia qualcuno di cui non so dare spiegazione.
A Cafarnao erano liberi di fronte alla naturale domanda: “Chi sei?”. A loro qualsiasi risposta sarebbe andata bene.
Leggiamo il testo della catechesi giubilare
del mercoledì
– papa Leone XIV –
Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
II. La vita di Gesù. Le parabole.
9. Bartimeo. «Coraggio! Alzati, ti chiama!» (Mc 10,49)

Fratelli e sorelle,
con questa catechesi vorrei portare il nostro sguardo su un altro aspetto essenziale della vita di Gesù, cioè sulle sue guarigioni. Per questo vi invito a mettere davanti al Cuore di Cristo le vostre parti più doloranti o fragili, quei luoghi della vostra vita dove vi sentite fermi e bloccati. Chiediamo al Signore con fiducia di ascoltare il nostro grido e di guarirci!
Il personaggio che ci accompagna in questa riflessione ci aiuta a capire che non bisogna mai abbandonare la speranza, anche quando ci sentiamo perduti. Si tratta di Bartimeo, un uomo cieco e mendicante, che Gesù incontrò a Gerico (cfr Mc 10,40-52). Il luogo è significativo: Gesù sta andando a Gerusalemme, ma inizia il suo viaggio, per così dire, dagli “inferi” di Gerico, città che sta sotto il livello del mare. Gesù, infatti, con la sua morte, è andato a riprendere quell’Adamo che è caduto in basso e che rappresenta ognuno di noi.
Bartimeo significa “figlio di Timeo”: descrive quell’uomo attraverso una relazione, eppure lui è drammaticamente solo. Questo nome, però, potrebbe anche significare “figlio dell’onore” o “dell’ammirazione”, esattamente al contrario della situazione in cui si trova. [1] E poiché il nome è così importante nella cultura ebraica, vuol dire che Bartimeo non riesce a vivere ciò che è chiamato a essere.
A differenza poi del grande movimento di gente che cammina dietro a Gesù, Bartimeo è fermo. L’Evangelista dice che è seduto lungo la strada, dunque ha bisogno di qualcuno che lo rimetta in piedi e lo aiuti a riprendere il cammino.
Cosa possiamo fare quando ci troviamo in una situazione che sembra senza via d’uscita? Bartimeo ci insegna a fare appello alle risorse che ci portiamo dentro e che fanno parte di noi. Lui è un mendicante, sa chiedere, anzi, può gridare! Se desideri veramente qualcosa, fai di tutto per poterlo raggiungere, anche quando gli altri ti rimproverano, ti umiliano e ti dicono di lasciar perdere. Se lo desideri davvero, continua a gridare!
Il grido di Bartimeo, riportato dal Vangelo di Marco – «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (v. 47) – è diventato una preghiera assai nota nella tradizione orientale, che anche noi possiamo utilizzare: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore».
Bartimeo è cieco, ma paradossalmente vede meglio degli altri e riconosce chi è Gesù! Davanti al suo grido, Gesù si ferma e lo fa chiamare (cfr v. 49), perché non c’è nessun grido che Dio non ascolti, anche quando non siamo consapevoli di rivolgerci a lui (cfr Es 2,23). Sembra strano che, davanti a un uomo cieco, Gesù non vada subito da lui; ma, se ci pensiamo, è il modo per riattivare la vita di Bartimeo: lo spinge a rialzarsi, si fida della sua possibilità di camminare. Quell’uomo può rimettersi in piedi, può risorgere dalle sue situazioni di morte. Ma per fare questo deve compiere un gesto molto significativo: deve buttare via il suo mantello (cfr v. 50)!
Per un mendicante, il mantello è tutto: è la sicurezza, è la casa, è la difesa che lo protegge. Persino la legge tutelava il mantello del mendicante e imponeva di restituirlo alla sera, qualora fosse stato preso in pegno (cfr Es 22,25). Eppure, molte volte, quello che ci blocca sono proprio le nostre apparenti sicurezze, quello che ci siamo messi addosso per difenderci e che invece ci sta impedendo di camminare. Per andare da Gesù e lasciarsi guarire, Bartimeo deve esporsi a Lui in tutta la sua vulnerabilità. Questo è il passaggio fondamentale per ogni cammino di guarigione.
Anche la domanda che Gesù gli pone sembra strana: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (v. 51). Ma, in realtà, non è scontato che noi vogliamo guarire dalle nostre malattie, a volte preferiamo restare fermi per non assumerci responsabilità. La risposta di Bartimeo è profonda: usa il verbo anablepein, che può significare “vedere di nuovo”, ma che potremmo tradurre anche con “alzare lo sguardo”. Bartimeo, infatti, non vuole solo tornare a vedere, vuole ritrovare anche la sua dignità! Per guardare in alto, occorre rialzare la testa. A volte le persone sono bloccate perché la vita le ha umiliate e desiderano solo ritrovare il proprio valore.
Ciò che salva Bartimeo, e ciascuno di noi, è la fede. Gesù ci guarisce perché possiamo diventare liberi. Egli non invita Bartimeo a seguirlo, ma gli dice di andare, di rimettersi in cammino (cfr v. 52). Marco però conclude il racconto riferendo che Bartimeo prese a seguire Gesù: ha scelto liberamente di seguire colui che è la Via!
Cari fratelli e sorelle, portiamo con fiducia davanti a Gesù le nostre malattie, e anche quelle dei nostri cari, portiamo il dolore di quanti si sentono persi e senza via d’uscita. Gridiamo anche per loro, e siamo certi che il Signore ci ascolterà e si fermerà.
_____________________________________________
[1] È l’interpretazione data anche da Agostino ne Il consenso degli evangelisti, 2, 65, 125: PL 34, 1138.
Buona settimana,
donC
Lascia un commento