Lunedì 22 settembre 2025

Forse devo chiedere scusa ma davvero ho scelto con questi post di cercare le briciole che cadono dalla grande tavolata delle nostre giornate, non saprei cercare di prendere ciò che sta sulla tavola del banchetto, perché la mia condizione è quella di chi sta “sotto”.
Così ho concepito fin dall’inizio che cosa debba essere questo blog: uno strumento per chi si nutre di briciole.

Ho fatto questa premessa perché oggi, a dispetto di tutto ciò che accade nel mondo, vorrei parlarvi del tramonto di sabato sera. Una briciola; ma che a me ha fatto tanta compagnia.
Uscivo alla luce dopo un pomeriggio passato a confessare, e già il percepire la luce e il calore, venivo da un salone condizionato sotto il livello della strada, è stato da subito un regalo. Poi andando verso l’auto mi sono reso conto che dal lago “saliva” un tramonto che abbracciava tutto l’orizzonte.
Per colori e ampiezza raramente ho visto tramonti così, e mi sono fermato in mezzo alla strada per dire un “Grazie!” che era pieno di tutto me stesso.

La prima fase del mio stupore non è durata molto: una manciata di secondi e il potente clacson di un pullman mi ha riportato al fatto che i pedoni devono stare al loro posto, al lato, e non al centro della carrozzabile.

Raggiunta l’auto, per tornare a Milano, mi sono reso conto che avrei viaggiato tutto il tempo guardando quella meraviglia di cielo messo lì per me. L’orizzonte non era più l’ignoto ma la compagnia di quei colori, di quelle nubi.

Puoi avere avuto tutto dalla vita: amore, amicizia, salute, amici, e se vuoi anche soldi. Ma quel tramonto stava lì per dirmi che tutto è solo il segno di un amore che crea, proprio come fa chi ama davvero.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Pietro disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».

Vangelo secondo Luca 18, 28-30.

Un Vangelo così dovremmo ricordarcelo quando ci lamentiamo di qualcosa che manca; se Gesù applica una compensazione misericordiosa al nostro lasciare, allora quando qualcosa manca forse è per una nostra incapacità a lasciare davvero i nostri beni.
D’altra parte credo che dobbiamo sempre una gratitudine immensa a quel semplice di Pietro: lui vuole vedere che frutti dona la sequela e mi pare importante non fermarci alla fatica del dare e basta; dare tutto perché si deve non mi pare essere una buona ragione per spogliarsi, mentre, ancora una volta, dare tutto per chi si ama è proprio desiderabile. Il punto è che per amare così occorre sentirsi amati.
E senza il silenzio nelle giornate non si scopre nulla, se non la fatica e tutto ciò che non ci va.


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
III. La Pasqua di Gesù.
7. La morte. «Un sepolcro nuovo,
nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,40-41)


Fratelli e sorelle,
nel nostro cammino di catechesi su Gesù nostra speranza, oggi contempliamo il mistero del Sabato Santo. Il Figlio di Dio giace nel sepolcro. Ma questa sua “assenza” non è un vuoto: è attesa, pienezza trattenuta, promessa custodita nel buio. È il giorno del grande silenzio, in cui il cielo sembra muto e la terra immobile, ma è proprio lì che si compie il mistero più profondo della fede cristiana. È un silenzio gravido di senso, come il grembo di una madre che custodisce il figlio non ancora nato, ma già vivo.

Il corpo di Gesù, calato dalla croce, viene fasciato con cura, come si fa con ciò che è prezioso. L’evangelista Giovanni ci dice che fu sepolto in un giardino, dentro «un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 19,41). Nulla è lasciato al caso. Quel giardino richiama l’Eden perduto, il luogo in cui Dio e l’uomo erano uniti. E quel sepolcro mai usato parla di qualcosa che deve ancora accadere: è una soglia, non un termine. All’inizio della creazione Dio aveva piantato un giardino, ora anche la nuova creazione prende avvio in un giardino: con una tomba chiusa che, presto, si aprirà.

Il Sabato Santo è anche un giorno di riposo. Secondo la Legge ebraica, nel settimo giorno non si deve lavorare: infatti, dopo sei giorni di creazione, Dio si riposò (cfr Gen 2,2). Ora anche il Figlio, dopo aver completato la sua opera di salvezza, riposa. Non perché è stanco, ma perché ha terminato il suo lavoro. Non perché si è arreso, ma perché ha amato fino in fondo. Non c’è più nulla da aggiungere. Questo riposo è il sigillo dell’opera compiuta, è la conferma che ciò che doveva essere fatto è stato davvero portato a termine. È un riposo pieno della presenza nascosta del Signore.

Noi facciamo fatica a fermarci e a riposare. Viviamo come se la vita non fosse mai abbastanza. Corriamo per produrre, per dimostrare, per non perdere terreno. Ma il Vangelo ci insegna che saperci fermare è un gesto di fiducia che dobbiamo imparare a compiere. Il Sabato Santo ci invita a scoprire che la vita non dipende sempre da ciò che facciamo, ma anche da come sappiamo congedarci da quanto abbiamo potuto fare.

Nel sepolcro, Gesù, la Parola vivente del Padre, tace. Ma è proprio in quel silenzio che la vita nuova inizia a fermentare. Come un seme nella terra, come il buio prima dell’alba. Dio non ha paura del tempo che passa, perché è Signore anche dell’attesa. Così, anche il nostro tempo “inutile”, quello delle pause, dei vuoti, dei momenti sterili, può diventare grembo di risurrezione. Ogni silenzio accolto può essere la premessa di una Parola nuova. Ogni tempo sospeso può diventare tempo di grazia, se lo offriamo a Dio.

Gesù, sepolto nella terra, è il volto mite di un Dio che non occupa tutto lo spazio. È il Dio che lascia fare, che attende, che si ritira per lasciare a noi la libertà. È il Dio che si fida, anche quando tutto sembra finito. E noi, in quel sabato sospeso, impariamo che non dobbiamo avere fretta di risorgere: prima occorre restare, accogliere il silenzio, lasciarci abbracciare dal limite. A volte cerchiamo risposte rapide, soluzioni immediate. Ma Dio lavora nel profondo, nel tempo lento della fiducia. Il sabato della sepoltura diventa così il grembo da cui può sgorgare la forza di una luce invincibile, quella della Pasqua.

Cari amici, la speranza cristiana non nasce nel rumore, ma nel silenzio di un’attesa abitata dall’amore. Non è figlia dell’euforia, ma dell’abbandono fiducioso. Ce lo insegna la Vergine Maria: lei incarna questa attesa, questa fiducia, questa speranza. Quando ci sembra che tutto sia fermo, che la vita sia una strada interrotta, ricordiamoci del Sabato Santo. Anche nel sepolcro, Dio sta preparando la sorpresa più grande. E se sappiamo accogliere con gratitudine quello che è stato, scopriremo che, proprio nella piccolezza e nel silenzio, Dio ama trasfigurare la realtà, facendo nuove tutte le cose con la fedeltà del suo amore. La vera gioia nasce dall’attesa abitata, dalla fede paziente, dalla speranza che quanto è vissuto nell’amore, certo, risorgerà a vita eterna.


Commenti

Una risposta a “Lunedì 22 settembre 2025”

  1. Come si fa a non essere raggiunti dalle tue parole, dalla loro verita’!

    ” … un amore che crea, proprio come fa chi ama davvero.”

    Quel tramonto era per te,
    ‘solo’ per te.

    Ne sono certo.

    Grazie

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