Lunedì 23 giugno 2025

Pare che questa notte le cose siano state più tranquille, per quanto lo possano essere in una guerra.
Svegliarsi la mattina è svegliarsi con la domanda : “chissà cosa è successo ancora”.
Ormai la notte è solo la premessa alle notizie del primo mattino. Spesso quindi l’inizio della giornata pare essere piena dei frutti del buio , quindi del male, della morte. Si comincia con la fatica di dover accogliere il male e l’odio dell’uomo contro l’uomo.

Ma se questo è il “dato” spetta poi a ciascuno decidere se camminare guardando indietro, alla notte e al suo male, oppure se cedere alla promessa che ogni inizio porta con sè: dobbiamo decidere ogni prima mattina se vogliamo cominciare a vivere guardando indietro o se ci interessa vivere con l’idea che comincia una nuova possibilità, una nuova occasione; come del resto il cuore di ciascuno chiede.

Che il male, nostro e del mondo, sia sempre occasione per tornare a chiedere Gesù, la Salvezza dal male, altrimenti sarà diffcile andare oltre la fatica e l’incomprensibilità della follia degli uomini. La sete di potere non può essere tutto, noi, io, siamo nati per altro.
Così il primo pensiero della giornata è per tornare nella posizione di partenza, è per rimettere davanti il mio cuore, che non si è mai addormentato.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, il Signore Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano.

Vangelo secondo Luca 5, 1-6.

La gente fa ressa per ascoltare la parola di Dio! Questa è la novità che intravvedo nel brano evangelico di oggi; come può essere accaduto che la gente si sia scoperta con questa fame addosso? La sola, prevedibile risposta che mi trovo a vedere è che la persona di Gesù aiutava ad appassionarsi dove lui guardava, dove lui traeva spunto per sè, dove lui stesso imparava. E la gente lo seguiva sulla riva del mare e non correva invece nella sinagoga!
Credo che noi preti dovremmo un pochino riflettere su questa situazione. Spesso quello che vedo è che noi preti predichiamo le cose giuste ma non siamo il tramite di un rapporto che ci costituisce e questo svuota di gusto e passione anche le cose più importanti.

Solo che il rapporto con la parola di Dio, con il Padre non chiude la vita, la spalanca in una attenzione a tutto ciò che c’è intorno: è per questo che si accorge che la barca è vuota. E provvede.
Il rapporto che costituisce lo sguardo di Gesù è in nesso con la vita di coloro che gli sono intorno … e per noi è così? Sappiamo percepire il bisogno di coloro che ci circondano?


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
II. La vita di Gesù. Le parabole.
10. La guarigione del paralitico. (Gv 5,6) 


Fratelli e sorelle,
continuiamo a contemplare Gesù che guarisce. In modo particolare oggi vorrei invitarvi a pensare alle situazioni in cui ci sentiamo “bloccati” e chiusi in vicolo cieco. A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare. Questa situazione viene descritta nei Vangeli con l’immagine della paralisi. Per questo motivo vorrei fermarmi oggi sulla guarigione di un paralitico, narrata nel quinto capitolo del Vangelo di San Giovanni (5,1-9).

Gesù va a Gerusalemme per una festa dei Giudei. Non si reca subito al Tempio; si ferma invece presso una porta, dove probabilmente venivano lavate le pecore che poi venivano offerte nei sacrifici. Vicino a questa porta, sostavano anche tanti malati, che, a differenza delle pecore, erano esclusi dal Tempio perché considerati impuri! E allora è Gesù stesso che li raggiunge nel loro dolore. Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare la loro sorte; infatti, accanto alla porta si trovava una piscina, le cui acque erano considerate taumaturgiche, capaci cioè di guarire: in alcuni momenti l’acqua si agitava e, secondo la credenza del tempo, chi si immergeva per primo veniva guarito.

Si veniva a creare così una sorta di “guerra tra poveri”: possiamo immaginare la scena triste di questi malati che si trascinavano faticosamente per entrare nella piscina. Quella piscina si chiamava Betzatà, che significa “casa della misericordia”: potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza.

Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da ben trentotto anni. Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita (cfr v. 7). In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia.

Gesù rivolge a questo paralitico una domanda che può sembrare superflua: «Vuoi guarire?» (v. 6). È invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo.

Quest’uomo infatti risponde in modo più articolato alla domanda di Gesù, rivelando la sua visione della vita. Dice anzitutto che non ha nessuno che lo immerga nella piscina: la colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Ma è proprio vero che non aveva nessuno che lo aiutasse? Ecco la risposta illuminante di Sant’Agostino: «Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. […] È venuto dunque l’uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione?». [1]

Il paralitico aggiunge poi che quando prova a immergersi nella piscina c’è sempre qualcuno che arriva prima di lui. Quest’uomo sta esprimendo una visione fatalistica della vita. Pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita.

Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella (cfr v. 8). Quel lettuccio non va lasciato o buttato via: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacere come un morto. Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!

Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata. Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!


[1] Omelia 17, 7.


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