Sabato per il funerale di papa Francesco si poteva capire cosa si debba intendere con la parola amore.
Centinaia di migliaia di persone sono accorse a Roma per dire il loro grazie al Papa. Non credo l’avrebbero fatto per nient’altro, eppure tanti, tantissimi hanno ceduto al sentimento che prendeva al cuore e si sono scomodati, facendo un gesto che va contro tutte le logiche di questo nostro tempo: le persone ci hanno messo tempo e denaro per un gesto gratuito, per un amore.
Credo che dobbiamo fare la fatica di trattenere almeno per un pò quelle immagini, per non farci riprendere immediatamente dalle dinamiche di una vita che nemmeno sa dove stia l’amore.
Abbiamo bisogno tutti di tornare a questa gratuità che non si impara, non si educa, semplicemente si trova in ogni cuore che ama.
Tanti ci hanno detto, scritto e mostrato l’immensità della figura di papa Francesco, forse dobbiamo dirci anche la grandezza di quel popolo che chiamiamo Chiesa.
dalla liturgia ambrosiana:
Lunedì della II° settimana di PASQUA
Santa Gianna Beretta Molla
Gianna nacque a Magenta il 4 ottobre 1922 da Alberto e da Maria de Micheli. Era la decima figlia di una famiglia profondamente cristiana che diede alla luce tredici figli, di cui tre consacrati a Dio e cinque morti in giovane età. Per le precarie condizioni di salute del padre, i Beretta, nel 1937, si trasferirono a Quinto Mare (Genova), dove Gianna poté, nel 1942, conseguire la maturità classica. Frequentando l’Azione Cattolica, fu invitata a partecipare a un corso di esercizi spirituali che segnarono una svolta significativa nella sua vita. In quell’anno morirono entrambi i genitori; Gianna ritornò con i fratelli a Magenta e si iscrisse alla facoltà di Medicina, prima a Milano, poi a Pavia. Laureatasi nel 1949, si specializzò in pediatria.
Nel 1952, aprì a Mesero un ambulatorio nel quale impegnò tutte le sue energie fino alla morte, mentre contemporaneamente si dedicava all’apostolato all’interno dell’Azione Cattolica. Aveva inizialmente pensato di svolgere la sua professione di medico in missione, raggiungendo in Brasile il fratello cappuccino, padre Alberto, ma l’incontro con l’ingegnere Pietro Molla cambiò i suoi progetti. Si sposarono l’8 dicembre 1954 e l’esemplare famiglia fu allietata dalla nascita di tre figli. Alla quarta gravidanza si presentarono seri problemi, che Gianna affrontò con fermezza e serenità. Al chirurgo che la sottoponeva ad un intervento disse: “Prima salviamo il bambino! Per me non si preoccupi”. Riuscì a portare a termine la maternità contro ogni parere dei medici; prima del parto disse al marito: “Se dovete decidere fra me e il bambino, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bambino. Salvate lui”.
Il 21 aprile 1962 nacque Gianna Emanuela e il 28 aprile Gianna moriva nella sua casa, a Ponte Nuovo di Magenta. Fu sepolta a Mesero.
Il suo caso impressionò profondamente l’opinione pubblica. Papa Paolo VI, il 23 settembre 1973, nell’allocuzione dell’Angelus domenicale, parlò di Gianna Beretta Molla indicandola come esempio di “meditata immolazione” a una società troppo facile a soffocare la vita. Il 24 aprile 1994, Giovanni Paolo II la iscriveva nell’albo dei beati. Durante l’anno santo del 2000, per intercessione della beata, si ebbe un altro miracolo nella Diocesi di Franca (São Paulo, Brasile): una bimba, quarta figlia di una giovane coppia crebbe nel grembo materno, nonostante l’irrecuperabile perdita del liquido amniotico, nascendo perfettamente sana. Dichiarato autentico anche questo miracolo (2003), Giovanni Paolo II decise di proclamare santa Gianna Beretta Molla il 16 maggio 2004.
In quel tempo.
Vangelo secondo Giovanni 1,35-42.
Giovanni stava là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo sul Signore Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Dopo la Pasqua si rilegge la storia e si comincia a comprenderla davvero, questo è il senso del ricominciare la lettura del vangelo subito dopo la Pasqua; è la stessa cosa che Gesù fa con i due di Emmaus: mentre li accompagna spiega loro le Scritture. Abbiamo bisogno di una grande disponibilità di cuore per essere disposti a ricominciare sempre dall’inizio. La nostra storia così diviene davvero infinita, senza fine: c’è sempre qualcosa che viene a galla e ci racconta della grandezza di ciò che ci è accaduto. Camminiamo sempre più nella nostalgia di quel primo passo ma anche nella letizia che la strada percorsa è tutta frutto di quell’istante di cui nemmeno eravamo consci.
Cosa c’è di più bello del camminare per la strada chiedendo: “Maestro, dove dimori?”. Questo rende ogni passo lieto e carico di attesa, come l’amato si fa incontro all’amata; altro che fatica del vivere!

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 12
L’avventura dell’interpretazione
In tale decisione la ragionevolezza, l’umano intero, è chiaro dove stia: in ciò che è aperto e dice pane al pane e vino al vino. E’ il povero di spirito, colui che di fronte alla realtà non ha da difendere nulla. Perciò afferra tutto come è, e segue l’attrattiva della realtà secondo le sue implicazioni totali.
Tutti hanno da difendere qualcosa, tutti hanno da portare avanti le proprie idee; questo è ciò per cui la nostra società si batte. In questo tempo tutti sono depositari del proprio bene, oppure, all’opposto, si cerca di ridurre l’individuo in funzione della società.
Il povero di spirito è invece qualcuno che cerca la verità prima ancora che il proprio bene, convinto che ciò che c’è è per un bene vero e reale. Non ha da difendere nulla di fronte alla realtà solo colui che è certo che la realtà sia per un bene, sia la radice di un bene che non si perde.
Buona settimana,
donC
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