Quanti commenti ieri, per la presenza di un milione di giovani nella spianata di Tor Vergata: dallo stupore del Corriere per quei ragazzi che sanno vivere senza cellulare, alle pagine di Avvenire che, richiamando la speranza rinata, ci chiedono di essere Chiesa attenta ai bisogni e alle domande dei giovani. Tutto vero, tutto bello, ma che mi sembra nessuno di quei commenti tocchi ciò che su quei prati è accaduto: un incontro, tra l’uomo mendicante del cuore di Cristo e Cristo che scende a cercare ogni singolo cuore.
Su quella immensa distesa di ragazzi e giovani è accaduto Gesù.
Quella spianata è stata come il cenacolo di duemila anni fa: il luogo dove il Risorto si è manifestato. E lì è nata la Chiesa, e lì è nata la missione coraggiosa di ciascuno di quelli che erano lì raccolti.
Ma innanzitutto il cenacolo è stato il luogo della gioia, della certezza e della comunione per la Sua presenza.
Il punto non è che cosa accadrà, quale strada e quali frutti verranno da quell’incontro; i frutti seguiranno e saranno certamente grandi. Ma la cosa più grande è, e sarà sempre, la memoria dell’incontro con Gesù.
Il 2 e 3 agosto Cristo risorto è tornato a dire agli uomini: “pace a voi”. E gli uomini devono accorgersi che quelle parole bastano per riempire e “attivare” la vita, dovunque possa andare.
dalla liturgia ambrosiana:
Lunedì della VIII° domenica dopo PENTECOSTE
memoria di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote
Nasce l’8 maggio 1786 a Dardilly da una famiglia di contadini, e ancora bambino deve impegnarsi nell’accudire le bestie e lavorare nei campi. Al suo desiderio di diventare prete si oppose il padre, e ci volle l’aiuto del parroco di Ecully perché il giovane potesse accedere al seminario, dove incontrò molte difficoltà nello studio. Consapevole della sua scarsa preparazione intellettuale, si lasciò istruire dal Signore, coltivando un’intensa vita di preghiera e di adorazione.
Ordinato sacerdote a 29 anni, tre anni dopo venne inviato come curato ad Ars, piccolo paese sull’altipiano di Dombes, dove all’indifferenza nella fede si associava la rilassatezza dei costumi. Il nuovo curato si mise all’opera con zelo, e presto le poche famiglie pie del villaggio lo seguirono. Pregava a lungo per la conversione della sua parrocchia, e alla preghiera aggiungeva digiuni, penitenze, austerità e povertà di vita. La gente ne rimaneva impressionata.
Ben presto il nome del curato di Ars varcò i confini della regione, e la gente cominciò ad affluire da ogni parte della Francia. Dalla sua persona emanava una profonda forza di attrazione. Per il grande concorso di fedeli era costretto a confessare fino a 16 ore al giorno. Aveva la capacità di vedere l’animo umano nella sua nudità, e pieno di comprensione penetrava i segreti più intimi dei penitenti, portandoli con amore di fronte alla misericordia del Signore. Morì a 73 anni nel 1859. Fu canonizzato nel 1925 da papa Pio XI.
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai settantadue discepoli: «Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
Vangelo secondo Luca 10, 8-12.
“E’ vicino a voi il regno di Dio”. Sono parole che Gesù dice di dire ai malati che si incontrano, non ai malati della comunità, a quelli che credono, ma semplicemente a quelli che si incontrano, “che vi si trovano”.
Siamo così abituati che la malattia sia innanzitutto una prova, un dolore che a queste parole non facciamo troppo caso, ma la malattia è una grande occasione per avere quello cui tutti aspirano ma che non hanno di diritto.
Gesù dice che i malati vanno guariti ma anche che è a loro che è vicino il regno di Dio, abbiamo il compito dell’una e dell’altra cosa.
A coloro che sono malati dobbiamo quindi offrire aiuto per la guarigione e compagnia, perché abbiano a ricordare che il regno è vicino a loro.
Questo però è il compito e la responsabilità che abbiamo verso tutti gli uomini: che possano vivere pienamente la loro vita e che possano essere aiutati nella fatica della memoria: il regno è vicino a noi.
Questo rende l’idea della misericordia di Dio: anche di fronte al rifiuto che l’uomo può opporre all’annuncio del regno resta ferma la vicinanza che il regno ha comunque: “sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Davvero il buon Dio ci vuole salvi a tutti i costi, anche quando diciamo il nostro no al Suo amore.
Leggiamo il testo dell‘omelia per il giubileo
dei giovani
Carissimi giovani,
dopo la Veglia vissuta assieme ieri sera, ci ritroviamo oggi per celebrare l’Eucaristia, Sacramento del dono totale di Sé che il Signore ha fatto per noi. Possiamo immaginare di ripercorrere, in questa esperienza, il cammino compiuto la sera di Pasqua dai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35): prima si allontanavano da Gerusalemme intimoriti e delusi; andavano via convinti che, dopo la morte di Gesù, non ci fosse più niente da aspettarsi, niente in cui sperare. E invece hanno incontrato proprio Lui, lo hanno accolto come compagno di viaggio, lo hanno ascoltato mentre spiegava loro le Scritture, e infine lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane. I loro occhi allora si sono aperti e l’annuncio gioioso della Pasqua ha trovato posto nel loro cuore.
La liturgia odierna non ci parla direttamente di questo episodio, ma ci aiuta a riflettere su ciò che in esso si narra: l’incontro con Cristo Risorto che cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri.
La prima Lettura, tratta dal Libro del Qoelet, ci invita a prendere contatto, come i due discepoli di cui abbiamo parlato, con l’esperienza del nostro limite, della finitezza delle cose che passano (cfr Qo 1,2;2,21-23); e il Salmo responsoriale, che le fa eco, ci propone l’immagine dell’«erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca» (Sal 90,5-6). Sono due richiami forti, forse un po’ scioccanti, che però non devono spaventarci, quasi fossero argomenti “tabù”, da evitare. La fragilità di cui ci parlano, infatti, è parte della meraviglia che siamo. Pensiamo al simbolo dell’erba: non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, e però al tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante i mesi gelidi dell’inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme sotto terra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori.
Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio. Ci troveremo di fronte a Lui, che ci aspetta, anzi che bussa gentilmente al vetro della nostra anima (cfr Ap 3,20). Ed è bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito.
Sant’Agostino, parlando della sua intensa ricerca di Dio, si chiedeva: «Qual è allora l’oggetto della nostra speranza […]? È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua […]? Queste cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose» (Sermo 313/F, 3). E concludeva: «Ricerca chi le ha fatte, egli è la tua speranza» (ibid.). Pensando, poi, al cammino che aveva percorso, pregava dicendo: «Tu [Signore] eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo […]. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai (cfr Sal 33,9; 1Pt 2,3) e ho fame e sete (cfr Mt 5,6; 1Cor 4,11); mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessiones, 10, 27).
Hermanas y hermanos, son palabras muy hermosas, que nos recuerdan lo que decía el Papa Francisco en Lisboa, durante la Jornada Mundial de la Juventud, a otros jóvenes como ustedes: «Cada uno está llamado a confrontarse con grandes preguntas que no tienen […] una respuesta simplista o inmediata, sino que invitan a emprender un viaje, a superarse a sí mismos, a ir más allá […], a un despegue sin el cual no hay vuelo. No nos alarmemos, entonces, si nos encontramos interiormente sedientos, inquietos, incompletos, deseosos de sentido y de futuro […]. ¡No estamos enfermos, estamos vivos!» (Discurso en el encuentro con los jóvenes universitarios, 3 agosto 2023).
[Sorelle e fratelli, sono parole bellissime, che ricordano quanto Papa Francesco diceva a Lisbona, durante la Giornata Mondiale della Gioventù, ad altri giovani come voi: «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro […]. Non siamo malati, siamo vivi!» (Discorso per l’incontro con i Giovani Universitari, 3 agosto 2023).]
There is a burning question in our hearts, a need for truth that we cannot ignore, which leads us to ask ourselves: what is true happiness? What is the true meaning of life? What can free us from being trapped in meaninglessness, boredom and mediocrity?
In recent days, you have had many beautiful experiences. You have met other young people from different parts of the world and from diverse cultures. You have exchanged knowledge, shared expectations and entered into dialogue with the city through art, music, technology and sport. At the Circus Maximus, you also approached the Sacrament of Penance and received God’s forgiveness, asking for his help to live a good life.
[C’è una domanda importante nel nostro cuore, un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?
Nei giorni scorsi avete fatto molte belle esperienze. Vi siete incontrati tra coetanei provenienti da varie parti del mondo, appartenenti a diverse culture. Vi siete scambiati conoscenze, avete condiviso aspettative, avete dialogato con la città attraverso l’arte, la musica, l’informatica, lo sport. Al Circo Massimo, poi, accostandovi al Sacramento della Penitenza, avete ricevuto il perdono di Dio e avete chiesto il suo aiuto per una vita buona.]
In tutto questo potete cogliere una risposta importante: la pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito nel Vangelo, da ciò che possediamo (cfr Lc 12,13-21). È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere (cfr Mt 10,8-10; Gv 6,1-13). Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle «cose di lassù» (Col 3,2), per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi «sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12), di perdono (cfr ivi, v.13), di pace (cfr Gv 14,27), come quelli di Cristo (cfr Fil 2,5). E in questo orizzonte comprenderemo sempre meglio cosa significhi che «la speranza […] non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr Rm 5,5).
Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni Paolo II, «che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna» (XV Giornata Mondiale della Gioventù, Veglia Di Preghiera, 19 agosto 2000). Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre, coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi. Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo.
Vi affido a Maria, la Vergine della speranza. Con il suo aiuto, tornando nei prossimi giorni ai vostri Paesi, in tutte le parti del mondo, continuate a camminare con gioia sulle orme del Salvatore, e contagiate chiunque incontrate col vostro entusiasmo e con la testimonianza della vostra fede! Buon cammino!
Buona settimana,
donC
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