Martedì 16 settembre 2025

Ieri un’amica mi chiedeva questa “spiegazione”:
“Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà”; cosa significa concretamente perdere la vita? Per chi o per cosa la perderemmo?
Qual è la tua risposta?

E tutto potrebbe essere anche semplice se a questa domanda, nata dalla conclusione del vangelo di ieri, dovessi dare una risposta “giusta”; il problema è che lei chiede la mia risposta.

Innanzitutto raccogliere l’invito di questa amica e risponderle è già un segno di quel “dare” che se fosse per me non farei; avrei più facilmente potuto raccontare qualcosa di ciò che mi è accaduto ieri, piuttosto che mettermi di fronte alla richiesta di questo chiarimento.
Spesso accade che il buon Dio mi sfidi con quel “lasciati andare, fidati!” che in realtà a tutti credo faccia almeno un pochino paura, eppure quando questo lasciarmi andare mi accade vedo fiorire la chiarezza e la letizia del seguire chi mi può dare la vita ora.
Così, l’essere alle prese con queste domande al mattino presto, anzichè rotolarmi nel letto, è davvero il segno di una serietà con la vita che non è mia.
Perdi quello che il mondo ti chiede di possedere, di fare tuo, mentre la realtà è che, avendo incontrato Gesù e la sua Compagnia, vivi nel desiderio che tutto sia sempre più grande e vero.
E quando c’è questa tensione nella vita? Solo quando si ama. Si è lieti di perdere solo per poter avere ciò che promette di far lieto il cuore, come racconta l’evangelista con il racconto dell’uomo che vende tutto per comprare il campo dov’è il tesoro della vita.
Senza aver trovato il tesoro nel campo, offrire anche solo un istante è un gesto morale, si fa perchè si deve.

Solo amando puoi dire con gli Atti: “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.


dalla liturgia ambrosiana:

Delle origini di Cornelio non si sa nulla di preciso; forse apparteneva alla grande famiglia romana dei Cornelii. Fu eletto papa nel 251 per la sua bontà, prudenza e umiltà. Prima di lui, in un tempo di sede vacante, resse la Chiesa il dotto e dinamico prete Novaziano, che aspirava al pontificato. Quando infatti fu eletto Cornelio, Novaziano lo contrastò, scatenando uno scisma rigorista: accusò il legittimo papa di cedimento verso quei cristiani – i lapsi – che, pressati dai persecutori ad apostatare, non avevano avuto la forza di confessare eroicamente la fede.
Il vescovo di Cartagine, Cipriano , a nome di tutto l’episcopato africano, condividendo l’atteggiamento misericordioso di Cornelio verso chi era caduto nell’apostasia, si schierò in difesa del legittimo papa contro quei cristiani che minavano l’unità della Chiesa. Cornelio morì in esilio a Civitavecchia nel 253, durante la persecuzione di Gallo; nel 258 il suo corpo fu traslato a Roma e sepolto nelle catacombe di san Callisto. Cipriano nacque a Cartagine verso il 210. Retore ed avvocato di professione, si convertì al cristianesimo nel 246.
Pochi anni dopo, nel 249, fu eletto vescovo della sua città. Coinvolto nella questione dei lapsi durante la persecuzione di Decio, che colpì anche la Chiesa africana, fu a fianco del papa Cornelio sostenendo la sua posizione e la sua prassi pastorale. Per evitare mali maggiori, Cipriano a Cartagine e Cornelio a Roma, sancirono con un concilio la condanna dei fautori della discordia. Sotto la persecuzione di Valeriano si ritirò per non esporsi alla morte, nella sua casa di campagna, dirigendo da lì la comunità; ma nella primavera del 251 ritornò a Cartagine assumendo in modo scoperto la sua responsabilità di Vescovo. Qui nel 258 fu preso, processato e decapitato davanti ai suoi fedeli il 14 settembre.
La Chiesa associa, nella prima preghiera eucaristica, Cornelio (di Roma) e Cipriano (di Cartagine) per il loro comune martirio e per il loro comune amore per l’unità della Chiesa.

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Vangelo secondo Luca 18, 1-8.

La preghiera è comunque “faticosa”; lo attesta quel “senza stancarsi” che accompagna la sottolineatura della necessità della preghiera.
Perchè Gesù dice questa cosa, perchè è necessario pregare? Se la preghiera, la domanda è frutto della coscienza del bisogno, come racconta la parabola, allora si capisce che, da una parte, non si vorrebbe ricorrere al giudice, dall’altra c’è un bisogno che preme continuamente sulla vita e che spinge non solo a domandare ma a domandare proprio a quel giudice.
D’altra parte Gesù mostra, nettamente, una seconda molla della preghiera continua: la fede. Si chiede e si prega in modo vero quando quello che si cerca è che riaccada di nuovo quell’incontro che ha conquistato la nostra vita. Avere sperimentato una bellezza e una verità infinite ci portano a vivere del desiderio di san Pietro: se vado via da Te, dal rapporto con Te dove vado? Chi potrà sostenere la mia vita?


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

“Malgrado” l’uomo stesso il cuore resta teso al senso, alla pienezza, e questo bisogno resta ineludibile e concreto, fino al punto di far emergere all’orizzonte un’ipotesi di soluzione che parrebbe insensata e impossibile. si affaccia la parola “rivelazione”, intesa non in senso religioso ma come svelarsi del mistero della vita. E’ quello che accade ad ogni uomo che sta davanti alle più grandi domande.


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