Martedì 18 novembre 2025

Soli come …
Uno studio recente dell’Ocse sulle connessioni sociali e la solitudine, studio che non ho letto ma che ho trovato citato in un articolo di giornale, ci racconta che una persona su 10 non non parla, non incontra fisicamente e quindi non si confida con nessuno. Nemmeno con i propri genitori, figli o fratelli.
Viviamo in una società dove una persona su dieci è completamente sola.
Non discuto e non voglio discutere nè dello studio nè del suo risultato, quello che mi atterrisce è che questo problema è davvero “il” problema della nostra società.

Questo dato statistico mi ha prodotto due riflessioni, la prima è che allora non è così strano che in Giappone si siano inventati i matrimoni con sè stessi, la seconda, un pò più seria è che quel 10 per cento di persone sole ha bisogno di vedere la bellezza della vita “sociale”. Abbiamo bisogno di tornare a essere missionari mostrando la bellezza di una vita fatta di rapporti, di amici, di incontri. Ed è per questa sazia solitudine che tanti non sanno nemmeno cosa farsene della fede, di Gesù, semplicemente perché bastano a sè stessi e … cito a memoria Reinhold Niebuhr: “non c’è cosa più inutile della risposta a una domanda che non c’è”.

Noi “grandi” continuiamo a pensare che la solitudine sia una sorta di maledizione non voluta e non scelta, ora credo si debba iniziare a cambiare idea: tanti giovani stanno bene dove stanno e non hanno né bisogno né necessità di cambiare; basti pensare che i numeri delle università on line sono sempre più importanti.
Per portare le persone a Cristo occorre mostrare tutta la portata di novità che ha la vita da cristiani, ma noi siamo testimoni di vita piena?


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva alle folle: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

Vangelo secondo Luca 7, 21-29.

Se ieri abbiamo messo a tema il fatto che la venuta di Cristo è una risposta alla chiamata a seguirlo, oggi evidenziamo con il testo di Luca che la risposta alla chiamata è fare la volontà del Padre.
Il punto non è nemmeno seguire Gesù ma compiacere il Padre; il vero discepolo è colui che va oltre Gesù e prova a guardare dove Lui guarda. C’è bisogno di questa sottolineatura per rendersi conto che il punto non è seguire il fascino che si incontra ma provare a vederne e seguirne l’origine.
Gesù viene per indicarci il rapporto con il Padre, perché è lì l’origine di tutto.

Costruire sulla roccia del rapporto che non crolla è davvero il compito della sequela a Cristo, e l’autorità che ha non è frutto della sua forza, della sua ferma volontà ma piuttosto della sua appartenenza. Gesù sa bene che consiste del rapporto con il Padre e per questo è forte, netto, quasi violento, nell’indicarci quel rapporto come la roccia su cui costruire.
con quella certezza si può affrontare tutto.
In questo davvero Gesù è via, verità e vita.


Il punto quindi per vivere il giudizio comunionale non come sforzo o come aggiunta morale alle cose da fare è vivere una reale appartenenza. Sembrerebbe cosa da poco ma siamo davvero certi che la nostra sia una reale appartenenza a ciò che abbiamo incontrato o invece sia solo un’adesione, per quanto cordiale?
Credo valga la pena non sorvolare su frasi come quella che leggiamo oggi nella SdC, altrimenti quello che dovrebbe essere un aiuto diviene un problema.


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