Che dolore vedere una cosa giusta trasformarsi in una cosa contraria al bene. Le violenze accadute ieri come “coda” della manifestazione, che si è svolta in tutta Italia, sono per me fonte di tristezza perché trasformare in violenza una cosa che chiede pace è proprio non avere a cuore le persone, le storie e le ragioni ma solo le proprie idee, idee che abbruttiscono invece di dare vita.
Ma quando ieri sera dicevo questa cosa a un amico mi domandava: “ma noi cosa possiamo fare?”; io credo che innanzitutto si debba avere fede, infatti il buon Gesù ci ha già detto che se avessimo fede quanto un granello di senape potremmo spostare le montagne nel mare. La fede non è una speranza generica, piuttosto la certezza che Lui può cambiare la storia.
In secondo luogo mi pare che le indicazioni dei papi, Francesco e Leone, ci abbiano tracciato una via certa: il dono di noi stessi per la pace, infatti non credo che si possa pensare al digiuno come una cosa che si fa “ogni tanto e dietro richiesta esplicita”, il digiuno è solo una forma concreta del dare la vita per il bene del mondo. In fondo possiamo anche fare finta di nulla ma ci sono stati fior di personaggi che hanno dato sé stessi, a imitazione di Gesù, per la salvezza degli uomini, penso a santa Teresina, ai monaci di Tibhirine, a padre kolbe, …
Ma noi abbiamo il coraggio di dire al Signore: “per la salvezza di quei bambini ti offro me?”; perché questo è ciò che Gesù ha fatto con me.
Almeno chiediamo il coraggio di essere dispiaciuti della nostra incapacità.
dalla liturgia ambrosiana:
Martedì della IV° settimana dopo il martirio del Precursore
Memoria di san Pio da Pietrelcina, sacerdote
Francesco Forgione nacque a Pietrelcina, nell’arcidiocesi di Benevento, il 25 maggio 1887. A sedici anni, il 22 gennaio 1903, entrò nel noviziato dei Frati Cappuccini di Morcone, ove prese il nome di fra’ Pio. Il 10 agosto 1910 ricevette l’ordinazione presbiterale, a Benevento. Agli inizi del suo ministero soffrì di un lungo periodo di malattia, che lo costrinse a restare in famiglia. Nel settembre 1916 fu trasferito a S. Giovanni Rotondo ove rimase fino alla morte. Qui visse la sua vocazione, acceso di amore per Dio e per il prossimo.
La speciale missione che caratterizzò tutta la sua vita di prete l’attuò soprattutto attraverso la preghiera del rosario e l’amministrazione del sacramento della penitenza: per oltre cinquant’anni instancabilmente accolse penitenti che accorrevano a frotte al suo confessionale. Ma nella celebrazione dell’eucaristia padre Pio trasmetteva con singolare intensità la sua fede, il suo affidamento al Signore. Particolarmente toccato dall’esperienza della sofferenza del prossimo, si impegnò nella fondazione della “Casa Sollievo della sofferenza”, inaugurata il 5 maggio 1956. Immerso nell’esperienza delle realtà della fede, era uomo della speranza e della fiducia totale in Dio.
Conobbe con intensità singolare il mistero della croce e ne portò il segno nella propria carne. Sperimentò per molti anni profonde sofferenze interiori, che visse con fortezza e umile prudenza. Per la singolarità del suo carattere e della sua figura, fu oggetto di particolari richiami da parte dell’Autorità Ecclesiastica, che ridusse drasticamente il campo della sua attività pastorale, consentendogli solo la celebrazione dell’Eucaristia. Accettò con serenità silenziosa, in spirito di obbedienza. Vastissima folla di gente veniva richiamata dalla sua straordinaria forza comunicativa, pur rude, e dalla sua capacità di spirituale intuito degli animi. La sua salute che non era mai stata florida, declinò rapidamente negli ultimi anni della sua vita terrena.
Morì il 23 settembre 1968. Grandissimo concorso di popolo segnò la sua sepoltura. Nel novembre 1982 fu introdotta la causa di beatificazione. Venne beatificato il 2 maggio 1999, canonizzato il 16 giugno 2002.
In questo stesso giorno la chiesa ricorda san Lino papa, primo successore di Pietro nella cattedra romana. Incerti sono il tempo e la durata del suo governo. Ireneo lo identifica col personaggio ricordato da san Paolo in 2 Tim 4,21. Il suo nome è inserito nel canone romano. Il suo culto è attestato soprattutto a Volterra, di cui è patrono.
In quel tempo. Mentre il Signore Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Vangelo secondo Luca 18, 35-43.
Come vorrei poter avere la coscienza del mio bisogno fino a gridare!
Capisco infatti che spesso la mia posizione assomiglia più a quella di coloro che cercano di “calmare” l’urgenza del cieco; in fondo questo tempo ci ha insegnato che gridare sa tanto di prevaricazione e quindi di non corretto.
Se fossimo un popolo di urlatori forse potremmo però non solo avere la guarigione dai nostri limiti ma anche la salute di questo povero mondo.
Il fatto che poi Gesù chieda al cieco: “che cosa vuoi che io faccia per te?” è per noi un’altra spina nel fianco, spesso infatti non sapremmo come rispondere: chiederemmo la soluzione di un problema o la cosa che conta di più per il nostro cuore?
E nemmeno dobbiamo scandalizzarci della nostra richiesta: il cieco chiede la vista e finisce con il credere a Gesù fino a testimoniarlo pubblicamente: “glorificando Dio”. Tutte le strade portano … a Gesù, se le prendiamo sul serio.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 15
L’ipotesi della rivelazione: Condizioni della sua accettabilità
In terzo luogo, ci sono due condizioni che questa ipotesi deve rispettare; senza di esse non sarebbe una ipotesi accettabile:
a) Se deve essere veramente una rivelazione, come parola in più di quello che il mondo già dice al nostro cuore indegno e alla nostra intelligenza indagatrice, deve essere una parola comprensibile all’uomo.
Mi tornano in mente i “piccoli” che nel vangelo e del vangelo comprendono e sono beati più dei sapienti. L’idea della comprensibilità della rivelazione è davvero una questione importante perchè se si tratta del Divino che si rende incontrabile allora chiunque deve potersi accorgere di quell’incontro, di quello svelarsi.
Questo significa che la fede la possiamo imparare da chiunque perchè chiunque può comprendere la rivelazione. Ma per noi è davvero così?
Buon martedì,
donC
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