Martedì 25 febbraio 2025

Quando i bambini piccoli vengono portati dai genitori nel mio studio mi colpiscono sempre per due cose: guardano le cose una per volta, vedono qualcosa che li incuriosisce e si fissano verso quel punto, il resto non colpisce la loro attenzione e così sembra non interessare, poi scoprono un altro oggetto e si fissano su quello … finché non vedono il vaso delle caramelle; lì si fermano e … cominciano, non a mangiarle, ma a giocare, le confezioni diversamente colorate e i sapori sconosciuti sono un grande aiuto a far sì che i bambini usino quelle “cose” solo come un gioco a loro disposizione: metterle e toglierle dal loro vaso pare sia una tentazione davvero incontenibile. 

Di queste due piccole osservazioni mi colpiscono due cose: la prima è la loro attenzione a una cosa per volta; per noi spesso tutto si gioca nel tenere conto di tutti gli elementi contemporaneamente, per noi adulti lo sguardo d’insieme è fondamentale, per “possedere” la realtà, mentre i bimbi la vivono in modo quasi verginale, lasciando intatte le cose.

Secondo: siccome noi sappiamo cosa c’è dentro le confezioni delle caramelle puntiamo a scartarle mentre i bimbi non hanno affatto questa mira, per loro la caramella è quello che vedono, in questo sta il bisogno di essere educati.

Se penso a me, la mia vita è piena di caramelle ma io mi accontento solo di averle tutte non ci gioco e non mi impegno a vedere cosa c’è “dentro”. Mi basta il poter vantare che le ho, che sono mie.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Mentre il Signore Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Vangelo secondo Marco 10,46b-52.

Ma quale creatore si rivolge alla sua creatura dicendo: “che cosa vuoi che io faccia per te?”. Ci sarebbe da commuoversi ogni volta che si leggono queste parole; quale tenerezza e quale misericordia ha il Signore per la nostra povera vita, di fronte alle nostre infermità! E il cieco non chiede altro che la sola cosa che gli urge davvero: la guarigione; perché il non vedere è essere tagliati fuori dalla possibilità di conoscere le cose per come sono, al cieco occorre sempre una immagine mentale. E questo rischia di essere un ostacolo a riconoscere l’opera di Dio.

Assolutamente fantastica anche la frase finale di questo brano: il cieco vede per seguire. La possibilità della conoscenza ci è data come via per dire il nostro sì, per seguire chi ha fatto le cose. Buttiamoci nella giornata con l’idea che l’essere discepoli è il solo modo per vivere in pienezza la “vista” che ci è donata.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

4. Carattere esigenziale della vita.

 L’esigenza della verità implica sempre allora l’individuazione della verità ultima, perché non si può veramente definire una verità parziale se non in rapporto con l’ultimo. Non si può conoscere alcuna cosa se non in un veloce, implicito finché si vuole, rapporto tra essa e la totalità. Senza intravvedere la prospettiva ultima, le cose divengono mostruose.

E’ in questo modo che i piaceri divengono veri idoli. Se una cosa, anche vera, non viene messa in rapporto con il destino che fa tutte le cose si finisce con il ritenere che quella cosa sia la più grande di tutte.

Ma questo vale anche al contrario: se non si tiene conto del destino ultimo non si riesce nemmeno a stabilire il vero valore della cosa piccola che si ha tra le mani. guardare l’universo è la strada per poterci stupire dell’infinitamente piccolo.


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