Martedì 28 gennaio 2025

Stavamo pranzando con un gruppetto, sei o sette persone, prima di metterci a leggere gli appunti degli esercizi spirituali degli universitari, intanto, come sempre accade si ride, si scherza, e ci si racconta. Terminato il pasto arriva il momento del caffè; alla richiesta dell’incaricato declino dicendo che l’avrei preso a metà pomeriggio, per non abusare della bevanda, al che una delle presenti comincia a ridere ed esplode: “come mio nonno!”. Ciò che segue sono innanzitutto le risate dei presenti e poi lei sostiene che io mi sia offeso. Il nonno ha quasi trent’anni più di me. Ma per loro dopo i quaranta sei vecchio per principio.

Consideravo la cosa andando a dormire e concludevo che dovrebbero vedere tutti come stiamo insieme: come può accadere un’amicizia vera e quotidiana tra un sessantenne e dei poco più che ventenni? Che cosa può legare me e loro? 

Mi sono reso conto della bellezza semplice e vera della nostra amicizia anche perché nel pomeriggio di ieri è venuta una ragazza con una affermazione molto netta: credo che per me non ci sia nessun destino buono. A sostegno della sua posizione mi portava dei dati molto reali e veri, era evidente che le prove non le sono evitate e io mi sono ritrovato senza argomenti persuasivi ma solo con la consapevolezza che non può essere come lei sosteneva. Così mi sono chiesto seriamente perché io mi trovassi a sostenere che la vita, quando va male, non è una immensa fregatura.

Mi sono tornati alla mente i volti del pranzo e ho dovuto riconoscere che quelle risa non le potrò mai perdere, nemmeno nelle peggiori prove.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Il Signore Gesù diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Vangelo secondo Marco 4,26-34.

“Come, egli stesso non lo sa”. Davvero è così; sono molte più le cose che non sappiamo spiegare di quelle di cui sappiamo dare delle ragioni. Eppure quello che sappiamo è origine di uno stupore infinito e della grande nostalgia di Colui che è la ragione di tutto. Pensate come sarebbe la vita se di tutto sapessimo il come; vivremmo di solo stupore, come credo che accada in Paradiso, dove tutto è chiaro.

Perché queste osservazioni? Perché credo che l’esempio del contadino evangelico vada davvero imitato: abbiamo bisogno di imparare a “seminare” il nostro cuore nelle giornate, mendicando poi che germogli, cresca e dia un frutto abbondante. Spesso mi capita di vivere senza seminare alcunché, e di attendere come se, dal nulla, dovesse accadere qualcosa di capace di “svoltare” la giornata; qui ci viene chiesto di seminare per poter vedere un frutto.

E il seme che abbiamo è il nostro cuore che entra nelle giornate.

Tommaso dei conti d’Aquino nacque nel castello di Roccasecca, vicino a Napoli, nel 1226. Ricevette la prima formazione nell’Abbazia di Montecassino, dove fu portato dai genitori ancora fanciullo. Approfondì poi gli studi a Napoli, dove ebbe la fortuna di conoscere alcuni scritti di Aristotele, di cui intuì subito il grande valore. A 18 anni, dopo aver superato la fiera opposizione della famiglia, entrò nell’Ordine mendicante dei frati predicatori, attratto dal carisma di san Domenico: “Proclamare la Parola di Dio ardentemente contemplata, solennemente celebrata e scientificamente indagata”.
A Parigi e Colonia si perfezionò nelle discipline filosofiche e teologiche, avendo come maestro Alberto Magno. Divenuto lui stesso, a soli 31 anni, maestro in teologia, nel mezzo della polemica del clero secolare contro i frati mendicanti, si fece difensore della libertà dei religiosi dediti al servizio della Chiesa universale e fu maestro ammirato e sapiente nell’università parigina, poi a Bologna, Roma e Napoli.
Con san Bonaventura è stato il più grande pensatore cristiano del XIII secolo, e ha lasciato in eredità alla Chiesa la sua riflessione teologica in un corpo di opere di grande profondità ed estensione: la Catena aurea , la Summa contra gentiles, la Summa Theologiae che è la sintesi più creativa e originale del suo pensiero. La sua originalità sta soprattutto nel modo in cui ha saputo esprimere la fede della Chiesa nella cultura del tempo, partendo dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa e accogliendo la allora recente riscoperta del pensiero aristotelico.
Tommaso non fu soltanto un grande pensatore, ma un uomo di preghiera, un uomo umile e sapiente insieme, che al rigore della sua ricerca seppe unire una tenera devozione al Cristo crocifisso e un dialogo incessante con lui. “Il più dotto dei santi e il più santo dei dotti ” è stato definito. A pochi mesi dalla morte, interruppe improvvisamente di scrivere, lasciando incompiuta la sua Summa. “Paglia è tutto ciò che ho scritto”, disse a chi lo richiamava a portare a termine l’opera. Ormai era solo proteso all’incontro con Dio.
Morì il 7 marzo del 1274, mentre si stava recando al Concilio di Lione, nell’Abbazia di Fossanova. Canonizzato solennemente ad Avignone nel 1323, fu proclamato nel 1567 dottore della Chiesa.
La data della sua commemorazione liturgica fissata al 28 gennaio è quella della traslazione delle sue reliquie alla città di Tolosa.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

5. La legge del cuore

Si tratta del fatto che nell’io freme dentro come una voce che mi dice «bene», che mi dice «male». Questa coscienza dell’io reca con sé la percezione del bene e del male. E’ quello che la Bibbia e san Paolo definivano «la legge scritta nei nostri cuori».

Questa osservazione di don Giussani abbiamo bisogno di stamparcela davanti: nessuno meglio di noi conosce ciò che è vero per noi. D’altra parte quel bene e quel male vanno scelti e non sono invece frutto del nostro pensiero o, anche, della nostra scala di valori.

Quando diciamo che qualcosa ci viene dal cuore, non diciamo però di qualcosa che ci sentiamo ma deve essere sempre ciò che scopriamo scandagliando la verità del nostro cuore. Il cuore grida sempre dentro di noi ma tanto spesso ci fermiamo a quello che sentiamo e non abbiamo la pazienza e la disponibilità alla fatica che ci chiede l’andare alla radice di noi stessi.


Commenti

Una risposta a “Martedì 28 gennaio 2025”

  1. Stefano

    “Spesso mi capita di vivere senza seminare alcunché, e di attendere come se, dal nulla, dovesse accadere qualcosa di capace di “svoltare” la giornata; qui ci viene chiesto di seminare per poter vedere un frutto”

    Grazie Donce, perché è proprio quello che vivo. Già leggendo il vangelo mi è stato chiaro che per vedere il frutto bisogna seminare e quindi innaffiare ciò che desideri dia frutto, mentre molte volte aspetto il miracolo, che dia frutto quello che desidero, mentre sto innaffiando ciò che non desidero e che è male e quindi mi affosso! Penso al rapporto con la mia morosa e proprio ieri abbiamo litigato per una stronzata e per i nostri due caratteri focosi, lì è stato evidente che entrambi non abbiamo innaffiato sul bene sul fare un passo indietro ma abbiamo innaffiato l’orgoglio e infatti è cresciuta la tristezza e la bruttura!

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