Mercoledì 10 dicembre 2025

“Ma tu perché fai l’università?”
Dopo aver raccontato della fatica ad amare ciò che sta facendo e di come mille altre cose lo stiano affascinando ben più dello studio, un professore, presente al pranzo che stavamo facendo ha chiesto a questo ragazzo, quasi a bruciapelo, quella domanda che trovate in apertura, come titolo.

Che è come chiedere: perchè vai a lavorare, perchè ti alzi o perché accudisci la casa o i figli? L’idea è che non si può accontentarsi di qualcosa che “aiuti”, c’è bisogno di qualcosa che possa rendere vita anche la fatica.

Alla domanda ha poi risposto un collega del prof, con una semplicità stupenda: io sono in università perchè al liceo mi sono appassionato alla chimica guardando al mio professore e poi da lì la passione è passata alla fisica, alla matematica, alla letteratura e alla poesia, finchè lo studio e la ricerca sono diventati la mia passione.

Occorre un punto infiammato che possa dare fuoco a tutto il resto della vita, e non ci serve un punto tiepido o caldo occorre una fiamma viva perchè il fuoco si propaghi ad ogni piega della vita.
Che cosa ci ha acceso?


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Mentre il Signore Gesù entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea». Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri”». Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto: “Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode”?». Li lasciò, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

Vangelo secondo Matteo 21,10-17.

La città e la folla sono realtà diverse: la città è un luogo indistinto, fatto di edifici, persone e attività; la folla è un insieme di persone che non sono definite, che non hanno ancora scelto “chi” essere, ma che stanno alla realtà e che quindi hanno già affrontato la domanda su chi sia Gesù, non sono credenti ma sanno che Gesù è il profeta.
E Gesù, per mostrare chi sia, predilige di sanare gli impuri, peccatori e malati, rendendo evidente che la salvezza non è per i “sani” ma per i malati; e ai “sani” che svendono la casa di Dio riserva la sua ira.
E poi ci sono i capi dei sacerdoti e gli scribi che non vogliono nemmeno sapere chi sia Gesù, loro non sono né la città né la folla, loro solo vogliono che le cose stiano come sono.
E, infine, ci sono i fanciulli, quelli che traggono le conseguenze di ciò che vedono, loro gridano quello che sembra poter spiegare meglio ciò che hanno visto.
Tu dove ti riconosci? E cosa chiedi per questa giornata?


L’introduzione di don Giussani pone come prima osservazione che per poter porre uno studio attento all’ipotesi della rivelazione come risposta occorre un uomo carico di domanda e di attesa, cosciente del proprio bisogno e del proprio desiderio.
Tre sono le accezioni di questa presa di coscienza:
attenta, cioè carica di ragioni
tenera, cioè carica dello sguardo amoroso di chi ci ha voluto
appassionata, che è tesa al compimento.
Chiediamo di imparare a guardarci con questi occhi.


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