Ieri mattina funerale e poi in bici a trovare don Giussani al cimitero monumentale; era da tempo che lo avevo in mente ma c’è sempre stato qualcosa che me lo impediva, e ormai erano un paio di mesi che non andavo.
Ho volutamente percorso strade quasi deserte, sono passato per vie poco battute e sono arrivato in silenzio e pregando fino davanti alla tomba.
E lì ho trovato qualcuno che mi conosceva e che voleva salutarmi; certo la cosa non mi disturbato, nè infastidito, piuttosto mi ha spalancato a una constatazione: se siamo capaci di essere fedeli a ciò che davvero ci aiuta nella vita allora ci si ritrova sempre. Quello che ci mette insieme è solo questo guardare fisso allo stesso punto.
L’altra cosa che mi ha colpito al Monumentale è che era “pieno”. Non so se lo sia come persone residenti ma certamente c’erano molti turisti; la prima idea che ho avuto, vedendo quelle persone vagare a destra e a sinistra, è stata quella degli zombie: gente che gira ma che non si capisce con quale meta. Poi ho pensato questa cosa: la vita , e quindi anche la morte, hanno bisogno di uno scopo per essere ordinate, altrimenti si rischia di girare su sé stessi, senza rendersi conto né di dove si è né dove si vuole andare, rischiando che la grande bellezza ci passi al fianco senza che ce ne accorgiamo.
Che le vacanze siano momento per fare ordine e per smetterla di girare a “vuoto”.
dalla liturgia ambrosiana:
Trasfigurazione del SIGNORE
Le Chiese d’Oriente e d’Occidente hanno celebrato fin dall’antichità, in modi diversi e in date differenti, la festa della Trasfigurazione. Introdotta in Armenia nel IV secolo, e nel V secolo nell’area siriaca, la festa fu celebrata per ricordare la dedicazione di una chiesa sul monte Tabor.
In Occidente la festa si diffuse nel sec. XI, e papa Callisto III, nel 1457, l’estese alla Chiesa universale in seguito alla vittoria riportata contro i Turchi a Belgrado, la cui notizia giunse a Roma proprio il 6 agosto.Un riferimento preciso alla Trasfigurazione del Signore l’abbiamo nel vangelo della II domenica di quaresima, ma non si tratta di un doppione, perché nel tempo quaresimale non abbiamo una festa propriamente detta della Trasfigurazione. Ricordando l’episodio biblico nel quale Gesù fu trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni mentre conversava con Mosè ed Elia, la Chiesa vede in Cristo il compimento di tutte le Scritture, Colui che rivela all’uomo la sua vocazione alla divinizzazione.
Paolo VI concluse la sua vita terrena proprio alla sera di questo giorno dell’anno 1978. A un Angelus del 6 agosto aveva ricordato come “la Trasfigurazione getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana e ci fa rivolgere la mente al destino immortale che quel fatto adombra. Sulla cima del Tabor Cristo svela per qualche istante lo splendore della sua divinità, e si manifesta ai testimoni prescelti quale realmente è, il Figlio di Dio; ma fa vedere anche il trascendente destino della sua natura umana, che egli ha assunto per salvarci, destinata anch’essa, perché redenta dal suo sacrificio d’amore irrevocabile, a partecipare alla pienezza della vita, alla sorte dei santi nella luce”.
In quel tempo. Il Signore Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Vangelo secondo Luca 9, 28b-36.
Una volta c’era “Pubblicità Progresso”: “quanti soldi spesi in creme e maschere di bellezza! Volete un trattamento perfetto? Pregate come Gesù e il vostro volto cambierà d’aspetto. Per non parlare delle vesti che divengono candide come non si potrebbe immaginare”.
Al di la della banalità credo però che ci sia qualcosa di serio in ciò che ho scritto: dire sì a Cristo significa in qualche modo confidare nel fatto che il nostro aspetto, che dobbiamo curare per rispetto a Colui che ci ama, è davvero una cosa che cambia nella misura del nostro stare con Lui. Quando siamo in pace e lieti in qualche modo si vede, come si vede quando invece siamo ripiegati su noi stessi.
Teniamolo presente.
Passando invece alla scena che Luca mette davanti ai nostri occhi, vorrei che ci soffermassimo sul fatto che Gesù, con Mosè ed Elia, parla del suo esodo, della sua passione. C’è una strana commistione tra gloria e passione, e credo vada notata.
La gloria di Cristo è la sua passione.
Qual è la gloria per noi?
Buon mercoledì,
donC
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