Mercoledì 9 luglio 2025

Ieri sera cena con una coppia di studenti “morosati” da pochi mesi.
Dato che resta valida la mia teoria che le cose serie chiedono pochi momenti ci restava tutta la cena per chiacchierare.
Finché è uscita la domanda su di me, su come ho incontrato don Giussani. E questo perché i due erano stati imbeccati sulla questione da un’altra ragazza; cosa questa che mi dà sempre più l’idea della nostra compagnia come di un grande condominio: apparentemente ciascuno sta nel suo ma in realtà tutti sanno tutto.
Così ho dovuto raccontare di me, di ciò che ho incontrato e vissuto.
Al termine del racconto, durato una mezza pizza, è arrivata la domanda più bella: “ma secondo te don Giussani era santo?”.

Una richiesta così, esplicita e netta, chiedeva molto più del “certo” con cui ho esordito nella risposta: dovevo dare delle ragioni; e una ragione mi si è stampata in testa: era santo perché nella sua vita tutto era fatto davanti a Gesù: era evidente che tutta la vita di quell’uomo era un aver davanti il rapporto con Cristo, come criterio e come fonte di giudizio: tutto era per affermare che la vita ha gusto solo in quel rapporto.

L’ho raccontato perché poi ho dovuto ammettere a me stesso e ai miei giovani commensali che di santi ne ho incontrati e ne incontro molti: quanti sono coloro che vivono guardando il cielo!
Siamo una compagnia di santi!


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Il Signore Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Vangelo secondo Luca 7,11-17.

La prova, per alcuni, sembra avere la forma del pane quotidiano: quella povera donna stava perdendo il solo affetto che le era rimasto. Penso che per una madre sia la cosa più straziante accompagnare il proprio figlio al cimitero. Come non piangere?

Ma Gesù ha compassione di quel dolore.
Questo ci dice della eterna convenienza di essere noi stessi: si permette così a Gesù di venirci incontro e si permette alle persone che ci stanno intorno di vedere chi siamo.
mostrarci è la sola fatica che Gesù ci chiede per potersi commuovere e abbracciarci, fingere quello che non siamo non ha alcun senso, e tiene lontano anche Gesù.

“Tutti furono presi da timore”. Questa, evidentemente, non è paura di Gesù ma è piuttosto la domanda su chi possa essere quello che chiamano “profeta”. Il timore viene solo quando si ha coscienza di ciò che è accaduto davanti ai nostri occhi. E di miracoli ne abbiamo visti tutti.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

La ragione usata in modo naturale porta quindi a una chiara conclusione: la vita dell’uomo si riduce a ciò che può capire, a ciò che già conosce. il senso della vita e delle cose starà dentro la ristretta misura delle cose che già conosciamo e porterà ad esaltare sempre più noi stessi, la nostra capacità di comprendere.


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