Oggi vi offro un particolare crocifisso, uno degli oltre 200 realizzati da William Congdon dopo la sua conversione al cattolicesimo, siamo nel 1959 mentre quest’opera è del 1960 e si trova presso la W. Congdon Foundation.
Ho scelto di mostrarvi uno dei suoi crocifissi per le parole che il maestro ebbe a dire: «Dipingo sempre il Crocefisso perché in questo sta tutto ciò che ho visto e vissuto fino al momento di dipingerlo, e tutto ciò che mai vedrò in futuro».
Lo pensavo ieri sera tornando con la mente alla giornata trascorsa; nella mattinata ero rimasto per oltre un’ora e mezza al civico obitorio per benedire due salme: due ragazzi, classe 2001, nati a pochi mesi di distanza e morti nella stessa giornata. Al primo rito decine e decine di ragazzi, al secondo pochissimi presenti e paraventi davanti alle vetrate di ingresso.
Solo la croce di Cristo può contenere tutta la storia, solo la croce di Cristo può aprire l’orizzonte a un oltre che sta tutto in quelle braccia aperte, spalancate. Occorre solo il coraggio del capo chino.
Oggi e il prossimo venerdì riprendo tre stazioni della via Crucis, chiedendo scusa delle imperfezioni nelle fotografie.
Buona giornata.

Nona stazione
Gesù cade la terza volta
“Quasi esanime a terra mi ha ridotto;
già mi vanno accerchiando i cani in frotta.”
(Sl 22,17).
LTorna la salita, irregolare e sconnessa a sottolineare questa terza caduta di Gesù, che è quasi sdraiato a terra mentre cerca di risollevarsi, nell’atteggiamento di chi oppone un’ultima resistenza; molto curata e precisa la posizione del corpo per indicarci lo sforzo di rimettersi in piedi. Interessante che in tutte e tre le cadute la scena sia quella di un istante dopo la caduta, quando la tensione è tutta a riprendersi.
La coscienza di Gesù di quello che è il suo compito lo porta a non lasciare spazio alla prostrazione della caduta quanto invece a cercare di rimettersi immediatamente in cammino.
Dei due uomini quello che sta a destra della formella mi pare sia davvero insolito rispetto agli uomini visti sinora, credo di poter dire che si tratta della rappresentazione della bestialità della violenza e della cattiveria gratuite. Sembra che quell’uomo, quasi senza forma, e dal volto rotondo (mentre dovrebbe essere un ovale) stia per sferrare dei colpi verso Gesù.
Dall’altra parte abbiamo un uomo che cerca di sollevare la croce per alleggerire un momento il peso sulle spalle di Cristo, solo che lo fa non guardando Gesù ma guardando il primo uomo come a volerlo distogliere dal suo proposito. Si ripete quindi lo schema già visto: dei due personaggi uno che sta davanti al fatto che accade e alla propria umanità mentre dall’altra c’è il rifiuto di Cristo.
Oggi la presenza del leone ha una facile spiegazione se ci fermiamo alle varie citazioni contenute nel libro dei salmi, in particolare mi soffermerei sul salmo 21 che mi pare sia davvero immediato e chiaro riferimento per l’autore di questa formella, altri elementi dello stesso testo ci torneranno utili per altre stazioni:
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza»:
sono le parole del mio lamento.
In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico».
Da me non stare lontano,
poiché l’angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
Con l’immagine del leone ci troviamo quindi di fronte alla sottolineatura della preghiera di Gesù mentre è a terra per la fatica e il peso della croce: il cuore fuso come cera in mezzo alle viscere.
È davvero grande la solitudine di Gesù.

Decima stazione
Gesù è spogliato delle vesti
“Divisero le sue vesti, tirarono a sorte la sua veste
per sapere a chi di loro dovesse toccare“
(Mt 15,24).
Questa decima stazione della via crucis è dedicata alla spogliazione di Gesù, un gesto che prima che fisico è la scelta di lasciarsi fare, e questo è ciò che traspare con evidenza nell’immagine che abbiamo davanti. Essere spogliato è dire il totale annullamento, la definitiva rinuncia a sé, alla propria dignità. E cosa c’è di più annientante l’umanità, di più passivo nel vivere che la rinuncia a sé, alla propria dignità?
L’immagine del Cristo nella nostra formella è proprio quella di chi si offre, con lo sguardo che pare “vuoto”, non rivolto al cielo e nemmeno alle azioni dei suoi aguzzini. È come se Gesù fosse altrove. E credo proprio che ci si debba staccare da sé per poter accettare quelle mani sotto la tunica. Ed è proprio dell’uomo sulla destra che mi voglio occupare dopo aver guardato a Gesù, lui in quel momento “possiede” Cristo, lo abusa, quello che compie potrebbe sembrare un gesto di servizio, una riverenza, mentre i n realtà è proprio un sadico modo di onorare un uomo accusato di “farsi re dei Giudei”. L’uomo che normalmente si prostra e protende le mani offrendo doni ora quelle stesse mani le allunga per prendere e afferrare.
Il secondo uomo nella formella sta compiendo un gesto che nel racconto evangelico è messo prima del cammino al Calvario : è l’imposizione della corona di spine (un esempio è Mt 27,29). Da questo gesto si deve dedurre che l’identità dei due uomini nella scena insieme a Gesù è quella di soldati romani che si sono spogliati delle loro insegne militari per far luogo ad indumenti “da lavoro”. La canna nelle mani dell’uomo a sinistra è quindi lo strumento per percuotere la corona di spine che la con la destra sta imponendo al Cristo.
Da notare un particolare curioso: la figura del Cristo è posta su un sasso che è rialzato, come a sottolinearne la condizione davvero regale, questo fa sì che il soldato alla sinistra abbia bisogno di un punto di “slancio” per arrivare alla testa di Gesù, ed eccolo quindi in una posizione di instabilità che racconta a sua volta del voler essere “come Dio”, come quando l’uomo deve protendersi per cogliere la mela nel giardino dell’Eden.
Dato che si tratta di una ripetizione, anche se le tipologie di scimmie sono diverse, credo di non avere moltissimo da aggiungere a quanto già detto commentando la seconda stazione: siamo di fronte a un giudizio netto, l’uomo è preda del demonio tutte le volte che cerca di essere come Dio.
La cosa buffa è che in entrambe le formelle dove compare la scimmia la possiamo trovare ai piedi dell’uomo; il demonio sta sempre tra i piedi.

Undicesima stazione
Gesù è crocifisso
“Fu crocifisso insieme ai malfattori,
uno alla sua destra e uno alla sua sinistra“
(Lc 23,33).
In questa formella ci sono delle indicazioni paesaggistiche molto precise e significative: la prima è legata a quelle sagome di fusto d’albero sullo sfondo, figure nude e dritte come il braccio verticale della croce che viene innalzata. Questo per ricordarci che la croce è un albero, proteso verso il cielo. Un albero che porta un buon frutto.
Il secondo elemento della scena che compare è lo sfondo roccioso che ci indica che la salita al monte non è affatto conclusa, c’è una cima che la croce non raggiunge, anche il Figlio di Dio non può presumere di sapere ciò che il Padre ha deciso di compiere per la sua pienezza, per questo la strada da percorrere va oltre la croce, perché da lì, da quel punto, partono nuovi cammini.
Molto bella è la figura del Cristo appeso alla croce mentre viene inchiodato ad essa, non ricordo di avere mai visto una composizione simile: la gamba penzoloni e lo sguardo rivolto al cielo fanno subito venire alla memoria l’idea dell’abbandono nelle mani di un Altro. Il solo avere i pugni serrati ci lascia intuire il dramma del dolore e della lotta.
I due carnefici rappresentano due diverse modalità per guardare la scena: l’uomo alla sinistra di Gesù, quello con il martello alto sta per vibrare un colpo davvero potente, ce lo racconta proprio quel braccio sollevato e quasi all’indietro per permettere di caricare un colpo al massimo della forza. Questo primo uomo ci documenta la violenza di chi odia, di chi vuole la morte di un uomo che da fastidio. Per questo il primo aguzzino è vestito come un uomo qualsiasi, perché chiunque vorrebbe eliminare Gesù quando le sue richieste diventano troppo esigenti e dolorose.
Il secondo uomo è un soldato che, rivestitosi delle sue insegne militari (vedi la formella precedente), si adopera per innalzare la croce; questo soldato è il segno del potere che non può che volere Cristo morto perché lo guarda sempre come una vera e propria minaccia.
Il branco dei cani che vedete nella scena è seminascosto dall’erba, questo perché il cane per gli ebrei era un animale impuro e quindi da tenere a debita distanza. Anche oggi il salmo 22 ci viene in aiuto in modo del tutto inaspettato e descrivendo la scena in modo perfetto.
È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Resta quindi solo da evidenziare che i cani sono il segno della malvagità che circonda Gesù. Al momento della crocifissione chi resta attorno a Gesù è chi lo vuole morto.
Buon venerdì,
donC
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