Venerdì 11 luglio 2025

Il caldone delle settimane scorse pare che l’abbiamo superato, oggi finirà anche l’oratorio estivo e quindi su san Pio tornerà il silenzio di chi produce solo il rumore delle pagine studiate che si susseguono le une alle altre, …

Parrebbe che le cose si mettano orientate verso una fine, verso un tempo di riposo e di vacanza. Solo che la vita, quella di chi cerca di dire sì a Gesù, non pare abbia il senso delle ferie, tutto accade sempre, senza avvertire, e senza chiedere il permesso. Ogni giorno accadono fatti che chiedono di esserci totalmente, sino in fondo: ieri ho saputo del piccolo Giacomo, della sua salita al cielo, lui così piccolo e con la vita davanti; ho ascoltato il pianto di un cinquantenne che si è improvvisamente sentito dire dalla moglie che tra loro è tutto finito; ho chiacchierato a lungo con un’altra ragazza che non gusta il cibo come lo apprezzo io, …
C’è proprio bisogno di una coscienza nuova, lontana dalla logica del mondo per cui “vacanza” significa “vuoto”; c’è bisogno di un tempo dove il riposo sia la scoperta del volto di Gesù, l’unico su cui riposare.

Ha ragione san Benedetto: “il Signore apre le vie della vita”!


dalla liturgia ambrosiana:

Padre del monachesimo d’Occidente, dichiarato patrono d’Europa nel 1964 con la Lettera apostolica “Pacis nuntius” di Paolo VI, Benedetto nacque a Norcia attorno al 480. Inviato a Roma per gli studi letterari, se ne allontanò ben presto, “desideroso di piacere solo a Dio”.
Visse ad Affile questo primo distacco in forma semianacoretica, ma anche da qui fuggì dopo un miracolo (il vaglio rotto dalla nutrice e da lui ricomposto) che rendendolo celebre, gli impediva di restare nell’amata solitudine. Si diresse verso i monti di Subiaco, dove fece esperienza di eremitismo, abitando in una grotta. Visse poi per un certo tempo la forma cenobitica, che si rivelò fallimentare nella riforma del monastero di Vicovaro.
Ripresa la via della solitudine, fu raggiunto ben presto da alcuni giovani desiderosi di condividerne la vita. Fondò così ben tredici monasteri, con a capo di ognuno un abate. Ma ancora una volta l’invidia per la sua vita esemplare lo costrinse ad abbandonare quei luoghi e lo spinse fino a Cassino, dove sul monte, un tempo luogo di culto profano, edificò un monastero.
Qui mentre la vita cenobitica si consolidava anche alla prova del tempo, Benedetto scrisse la Regula monasteriorum, “segnalata per discrezione e limpida per dettato”, come ebbe a dire Gregorio Magno nel II libro dei Dialoghi, c. 36. Proprio in questo secondo libro, tutto dedicato alla narrazione della vita di Benedetto, Gregorio racconta i prodigi e i miracoli compiuti dal santo, presentandolo come un modello vivente, una parola di Vangelo.
Secondo un’antica tradizione, Benedetto morì il 21 marzo 547, festeggiato fino alla recente riforma liturgica come il giorno del transitus.
La festa odierna cade del giorno della traslazione delle sue reliquie in Francia. Codice spirituale per tutti i cristiani, oltre che per i monaci, la Regola è una piccola summa dell’Evangelo.
“Ascolta, figlio mio, i precetti del maestro, piega l’orecchio del tuo cuore, accogli con docilità e metti concretamente in pratica gli ammonimenti che ti vengono da un padre pieno di comprensione; cosicché tu possa per laboriosa obbedienza tornare a Colui dal quale ti eri allontanato per l’inerzia della disobbedienza… Lasciamoci cogliere da stupore di fronte alla Parola divina che ogni giorno grida a noi esortatrice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore… Ecco, nella sua misericordia il Signore apre dinanzi a noi la via della vita… ” (Regola, Prologo, vv. 1-3; 9-10; 20).

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Vangelo secondo Giovanni 15,1-8.

La vite è Gesù e il Padre è il vignaiolo. Due figure distinte e molto nitide, per comprendere che la cura e il frutto non sono opera che dipende da uno ma dall’opera della intera Trinità.
E qui scatta una prima commozione: non solo ciascuno è il frutto del pensiero di Dio ma ciascuno è accudito nella vita dalla stessa Comunione che ci ha generati: Dio ha a cuore ciascuno di noi sempre e in ogni istante.

Secondo: la grande consolazione che è per tutti è che il dare frutto non è una questione nostra, qualcosa che facciamo noi, è invece una cosa che accade restando attaccati alla vita, a Cristo. E stare attaccati è tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare, non mollare mai il fascino dell’incontro che ci ha preso.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

finisce sempre così: quando l’uomo non sa cedere allora deve forzare al massimo e bastare a sé stesso, deve farsi artefice della propria vita. Questo è quello a cui porta una ragione non dominata; quando la ragione si fa misura delle cose allora la ragione pretende di essere la sola misura, il solo strumento di conoscenza e di giudizio.


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