13 giugno 1987.
38 anni fa venivo ordinato prete.
Di quel giorno ho ricordi scarsi e confusi: non ricordo quasi nulla di quella giornata, cosa feci prima e dopo l’ordinazione, dove ero in duomo: destra o sinistra dell’altare? Non so davvero cosa è accaduto.
Forse è segno di trascuratezza ma davvero quel giorno che ha segnato la mia vita è ormai passato nell’ambito delle cose “scordate”, e, per certi versi, perse. Lo devo ammettere, anche se magari questo può scandalizzare.
Ma in fondo oggi posso festeggiare comunque perché quel sì non è perso: nell’arco degli anni, quel 13 giugno, quel sì, è riaccaduto perché Lui mi ha preso e condotto per mano nelle stanze più interne della mia stessa vita e mi ha aiutato ad abitare quel cuore che mi spinge avanti.
La memoria non è il semplice ricordo ma la certezza che quello che è accaduto è divenuto carne e abita in mezzo a noi: senza quella mano sempre tesa non avrei potuto far altro che dire che ho perso me stesso, ho perso la mia vita.
dalla liturgia ambrosiana:
Venerdì dopo PENTECOSTE
Sant’Antonio da Padova,
sacerdote e dottore della Chiesa
Nato a Lisbona intorno al 1195, entrò dapprima tra i Canonici Regolari di sant’Agostino, dove compì gli studi teologici e nel 1220 fu ordinato sacerdote. Nel desiderio di una vita più vicina al Vangelo entrò poi nel Convento francescano di S. Antonio a Coimbra, da dove si imbarcò missionario per il Marocco. Ma a motivo di una grave malattia dovette ben presto ritornare in patria.
Partecipò al “Capitolo delle stuoie”, dove potè incontrare san Francesco. Inviato nella provincia francescana della Romagna, dopo un primo tempo trascorso nella preghiera e nel nascondimento, iniziò la sua intensa opera di predicazione, cui attese con grande frutto fino alla morte, convertendo molti, pacificando le fazioni avverse e combattendo l’eresia. San Francesco lo chiamò “suo vescovo”, per quell’amore alle Scritture che lo rese così abile nell’annunciare il Vangelo. E del Vangelo visse e predicò le esigenze radicali, impegnandosi a favore dei più poveri, nella predicazione contro l’usura e contro la prigione che allora veniva riservata ai debitori.
Per questo godette di una grande popolarità tra la povera gente. Oggi ancora è un santo molto amato; la sua celebre Basilica di Padova è meta incessante di pellegrini che invocano la sua intercessione. Antonio fu il primo nell’Ordine francescano a esercitare, con il permesso di san Francesco, il magistero teologico presso i suoi confratelli, che lo onorarono con il titolo di dottore, riconosciuto poi ufficialmente da Pio XII nel 1946, con l’appellativo di “doctor evangelicus”.
Morì a soli 36 anni e già l’anno seguente fu canonizzato dal papa Gregorio IX, che lo aveva chiamato “Arca del Testamento” per il suo metodo di esegesi, oltre che per la sua vita, francescanamente fedele al Vangelo sine glossa.
In quel tempo.
Vangelo secondo Matteo 10,18-22.
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».
Vivere la preoccupazione della vita, anche della vita cristiana, senza fede credo sia una delle cose più devastanti che esistano: vivi senza avere un punto, un momento, che possa generare la speranza nella vita; e quanta gente vedo vivere sospesa nell’incertezza di un “boh”. Che resta comunque il segno preciso di un’ultima inconscia certezza che un senso ci sia.
il punto di questo breve testo credo sia però la sottolineatura della perseveranza intesa come un semplice “restare attaccati” a ciò che si è incontrato perché è poi di Dio usare la nostra fedeltà come amplificatore della Sua presenza e del suo messaggio. A noi tocca solo di restare attaccati a ciò che abbiamo incontrato e visto, al resto è Lui che pensa.
E di tutto questo io per primo sono quotidiano testimone: sono sempre commosso dalla Misericordia di Dio che usa la mia povera umanità e fede per farsi presente a coloro che incontro e che lo cercano: trovano Lui nonostante me! Che Grazia, e che Amore!

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 13
Educazione alla libertà
3. L’esperienza del rischio
La comunità è la dimensione e la condizione perchè il seme umano dia il suo frutto.
La comunità così intesa non può più essere un accessorio alla vita ma davvero è la condizione della vita stessa. Vivere senza il conforto di un luogo che, come la Chiesa, ci sostenga richiamandoci all’esperienza, e alla convenienza, del rischio, è cosa, a dir poco, dis-umana.
Quindi per oggi permettetemi di lasciarci, voi e io, con una domanda: cos’è per noi la comunità?
Buon venerdì,
donC
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