Venerdì 25 aprile 2025

Festa della Liberazione!
Sono trascorsi ottanta anni da quei giorni dove uomini e donne, come riprendendosi da un sonno, hanno voluto riprendere in mano le sorti della loro vita.
Non sono partigiano, nè ho mai provato troppa simpatia per la retorica e soprattutto per la cattiva ricostruzione storica di parte. Eppure quei giorni sono stati, con tutti i loro strazi, giorni di popolo.
Oggi non so se scenderemmo in piazza.
Credo sia venuta a mancare l’idea di popolo, oggi vince su tutto il pensiero e il benessere del singolo.

Ci pensavo l’altro giorno quando sono tornato ad incrociare, per le vie del quartiere, il signore che gira raccogliendo la spazzatura che trova per terra; ogni singolo pezzetto di carta è oggetto della sua attenzione, per ogni singola rifiuto si china e lo raccoglie. Quando lo vedo, sempre, faccio due pensieri: che deve essere malato per comportarsi così sempre e che magari dovrei chiedergli di passare spesso davanti a san Pio. Ma l’altro giorno ne ho aggiunto un terzo: la strada è pubblica, tanto sua quanto mia, ma nessuno si mette ad avere la stessa cura per la cosa pubblica; ma cosa significa che è pubblica? Oggi semplicemente significa che non è di nessuno.

Se il 25 aprile ci aiutasse a tornare all’idea di società e di popolo che si aveva sarebbe un bel guadagno. Ma noi lo usiamo per guardare indietro e non guardare all’oggi.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungere il corpo di Gesù. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

Vangelo secondo Marco 16,1-7.

Marco, l’Evangelista, solitamente così scarno, ci mette di fronte i nomi delle tre donne che vanno al sepolcro per ungere il corpo di Gesù. Segno molto interessante perchè indica che quei fatti sono certi, come se ci dicesse: “se vuoi puoi chiedere alle persone che c’erano”.
E le testimoni sono tre e non due, come richiesto dalla legge, proprio per mostrare la certezza dei fatti.
Capita talvolta di accorgermi che consideriamo ancora come una sorta di dubbio il cercare di darci delle ragioni per il nostro credere: invece la nostra fede se non si costruisce su dei fatti accaduti non è altro che una vana speranza.
Questo non toglie i problemi della vita, non alleggerisce di un grammo il peso del masso davanti alla tomba ma si incomincia a guardare avanti e non si è più bloccati al semplice constatare che non vale la pena muoversi se nessuno toglie la pietra: loro vanno al sepolcro e poi per la pietra si vedrà.
Chiediamo di incominciare anche noi a partire dal cuore, da ciò che grida, perchè grida per l’incontro fatto; senza amore vero e reale a Cristo quelle tre donne non sarebbero andare a ungere il corpo di un uomo morto in croce.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

Ed ecco l’alternativa in cui l’uomo quasi insensibilmente si gioca: o tu vai di fronte alla realtà spalancato, con gli occhi sgranati di un bambino, lealmente, dicendo pane al pane e vino al vino, e allora abbracci tutta la sua presenza ospitandone anche il senso; o ti metti di fronte alla realtà difendendoti, quasi con il gomito davanti al viso per evitare colpi sgraditi o inattesi, chiamando la realtà al tribunale del tuo parere, …

Tutti ci commuoviamo di fronte agli occhi sgranati di Marcellino “pane e vino” che guarda al crocifisso, segno concreto e reale che siamo fatti della nostalgia per quello sguardo, E allora perchè non iniziare a chiederlo? Credo che questo renda ragione del “quasi insensibilmente” che don Giussani usa per dirci che non è casualità il nostro andare davanti alla realtà, se quella nostalgia è viva allora si guarda a tutto come a un segno, se quella nostalgia è nascosta e celata allora non avremo nulla da sperare, se non un intervento divino che cambi la realtà.
Chiediamo di riscoprire sempre quella nostalgia di cui siamo fatti.


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