Venerdì 25 luglio 2025

Cancello tutto dalla mia memoria, ma il 25 luglio del 2004, domenica, non mi si leva dalla testa. E’ il giorno in cui ho iniziato il mio cammino solitario per Santiago de Compostela, per incontrare San Giacomo.
Ieri sera tardissimo, e non credo sia stato un caso, mi è ricapitato in mano il quadernino in cui avevo appuntato le cose che giorno per giorno mi colpivano. Mi sono commosso.
Ogni paginetta, delle poche che ho sfogliato, era piena della certezza immensa di essere amato e quindi di non essere mai solo.
Ho vissuto 930 Km di solitaria compagnia, di solitudine amata. Camminavo lieto e certo di una compagnia che camminava con me.
Allora di quel mio non essere mai solo, nemmeno quando la mattina faticavo a partire perché nella notte le mie vesciche si erano seccate, non ne ero troppo cosciente, forse per nulla, ma oggi è davvero certezza: la Sua Grazia mi è sempre compagna e custode, lì, a quella presenza posso affidare tutto di me, sapendo di non essere solo.

Lo rimetto a tema perché ieri ho avuto tre incontri dove mi è stato evidente che se manca l’esperienza della Sua presenza dentro la vita si finisce con l’incastrarsi da qualche parte: che si tratti della tragica morte di un figlio, della fatica ad appartenere, o della fine di un matrimonio la questione resta sempre quella: noi cerchiamo disperatamente di sistemare le cose, di chiudere la ferita che la realtà ci provoca. Mentre basterebbe partire dal fatto che non siamo mai soli, che c’è qualcuno che è sempre con noi.
Allora puoi affrontare ogni cosa.


dalla liturgia ambrosiana:

Giacomo Apostolo, figlio di Zebedeo e di Salome, è il fratello maggiore di san Giovanni evangelista. Entrambi pescatori, si trovavano lungo il mare di Galilea a riassettare le reti (cfr. Mc. 1,19), quando Gesù li chiamò, ed essi “lasciate la barca e il padre, lo seguirono”. Insieme a suo fratello Giovanni ed a Simon Pietro fu testimone della guarigione della suocera di Pietro, della risurrezione della figlia di Giairo, della gloria della Trasfigurazione e dell’agonia di Gesù nel Getzemani.
Facendo partecipare i due fratelli, a questi avvenimenti centrali della sua vita, il Signore volle rivelare loro – che aveva soprannominato “figli del tuono” per l’impetuosità del loro carattere – che la via della gloria passa attraverso la condivisione del calice del sangue versato e del servizio alla comunità. Giacomo fu il primo fra tutti gli Apostoli a seguire il Maestro nella morte violenta, essendo stato fatto decapitare da Erode Agrippa I a Gerusalemme nell’anno 44 (cfr. Atti 12, 1-3). Il suo corpo si venera a Compostella nella Galizia, dove affluiscono fin dal Medioevo, incessanti, i pellegrinaggi dei fedeli al santuario di Santiago.

In quel tempo. Si avvicinò al Signore Gesù la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Vangelo secondo Matteo 20,20-28.

Quale madre non vorrebbe che i figli facessero carriera? Certo soprattutto contenti e felici ma se anche riconosciuti meglio. La domanda della madre dei figli di Zebedeo è del tutto lecita e umana, solo che è sbagliato porla perché in un attimo diviene un progetto, una pretesa. C’è un chiedere invece che, custodito nel silenzio, ha la forma della preghiera.

Secondo: “potete bere il calice …?”, voler stare vicino a Gesù è mettersi nella condizione di una disponibilità al sacrificio e alla fatica, solo se si è disposti a lottare si può stare accanto a Cristo. Spesso la vita di fede non è guardata come una ascesa di lotta in lotta, santa Teresa d’Avila l’ha descritta come l’avventura e la fatica di l’addentrarsi dentro un castello che è il cuore di ciascuno di noi.
Ma noi, io, farei fatica per stare attaccato a Gesù?

Infine la sottolineatura sul farsi servi per essere i primi, la cosa è molto seria perchè non è una boutade, è un compito per la vita intera. Don Giussani, quando ormai tutti erano a dormire, passava nelle varie sale a spegnere le luci.
Vorrei poter essere responsabile allo stesso modo.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

Avrete presente che si tratta della citazione di san Tommaso, e mi pare importantissima questa frase perché rende evidente la necessità della Rivelazione; se l’uomo arriva alla soglia del mistero ma poi, per sua incapacità (peccato originale?) non riesce ad andare oltre e arrivare al Creatore, allora ecco la necessità che sia la Verità a farsi incontrare dall’uomo.
L’incarnazione di Gesù, tema del libro successivo di don Giussani, sarà la risposta definitiva e piena alla incapacità dell’uomo ad essere fedele.

Con queste parole chiudiamo la lettura del capitolo XIV de IL SENSO RELIGIOSO, riprenderemo a fine agosto con la lettura dell’ultimo capitolo: l’Ipotesi della rivelazione: condizioni della sua accettabilità.


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