Venerdì 31 gennaio 2025

Essere presenti.

Quando la chiesa è vuota essere presente è importante; non solo perché così eviti che ti vuotino la cassetta delle offerte tutti i santi giorni ma sopratutto perché quando la chiesa è vuota arrivano quelli che vogliono stare con Gesù, e che di solito hanno le loro fatiche e i loro dolori. Ma anche quella loro limpida fede che vorrei per me.

Ieri mattina, dopo le 12 sono passato e ho trovato in chiesa un immigrato che cercava un posto “caldo” dove stare seduto, e l’ho invitato almeno a pregare, visto che era in chiesa, mi ha risposto che la sua intera vita è una preghiera a Dio che lo salvi. Poco dopo, avevamo in programma l’adorazione con alcuni ragazzi, c’era una di loro che preparava il canto da fare e provava a voce alta, e mi ha ricordato la bellezza del mettere davanti a Gesù le nostre primizie; la bellezza della sua voce mi ha fatto chiedere: ma io quando canto per Gesù?

Sono tornato in chiesa nel primo pomeriggio e ho trovato un signore che commosso ringraziava perché la figlia era stata operata e l’operazione sembrava andata bene, contrariamente alle prospettive che gli avevano dato, e mi ha detto: “per fortuna che c’è questo posto!”, un punto fermo tra le onde del mare.

Più tardi ho trovato una signora che evidentemente aveva qualche problema e che mi grida da dieci metri di distanza: “Come va?”. Reprimendo il desiderio di richiamarla a fare le cose per bene, a stare in chiesa come se fosse in chiesa, ho pensato che quando entro al Carrefour nessuno mi chiede come sto.

E poi dicono che le chiese sono vuote; san Pio raccatta gente a caso dalla strada e la mette davanti a Gesù. Non sarà la chiesa più bella di Milano ma mi dice che il mio, il nostro, compito è mettere la gente davanti a Gesù. Il resto è un regalo.


dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo.
Essendo il Signore Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Vangelo secondo Marco 5,21-24a.35-43.

Quante volte il Signore ci ha preso per mano e ci ha letteralmente ridonato la vita, esattamente come fa con quella ragazzina! E invece quante volte, di fronte alle nostre “vite morte”, noi non osiamo nemmeno chiedere a Gesù che ci salvi; di fronte alla apparente definitività della morte ci comportiamo come gente che non ha una speranza nella vita. Certo diciamo a tutti che Gesù è la nostra speranza ma poi viviamo come se quella speranza non avesse nulla a che fare con noi, come se la speranza vera la dovessimo porre, così insegna il “mondo”, solo in noi stessi, nelle nostre forze.

Quando però capita di fare la mossa, tanto drammatica e lacerante, di chiedere aiuto, allora ci si accorge che la risposta arriva, sempre e puntuale, anche se talvolta non è esattamente quella che ci aspettiamo.

Chiedere muove Gesù e lui si attiva in un modo inaspettato, ancora più grande di quello che ci si aspetterebbe: “alzati!”. Ogni miracolo è un bene e insieme una sfida.

Nacque nel 1815 ai Becchi in Castelnuovo d’Asti, da una modesta famiglia di contadini. Rimasto orfano di padre all’età di due anni, dovette interamente alla mamma Margherita la sua forte educazione umana e cristiana. Ancora ragazzo manifestò il suo talento di educatore e la sua passione per la formazione cristiana dei giovani: radunava nel suo prato i suoi coetanei e per loro si improvvisava prestigiatore e saltimbanco e, dopo averli divertiti, ripeteva loro la predica ascoltata in chiesa.

Dopo aver studiato nel Reale Collegio di Chieri, con l’aiuto del teologo Luigi Guala, rettore del convitto ecclesiastico di S. Francesco a Torino, e poi con il sostegno di don Giuseppe Cafasso, potè compiere gli studi seminaristici e giungere all’ordinazione sacerdotale nel 1841. Si dedicò subito ai giovani, fondando l’oratorio di S. Francesco di Sales alla periferia di Borgo Doria, che poi trasferì, nel 1846, nei prati di Valdocco. Qui don Bosco, inventando e organizzando iniziative per i ragazzi che sempre più numerosi radunava intorno a sé, fece le prime esperienze di quello che sarebbe stato poi chiamato il “sistema preventivo”, fondato su “ragione, religione e amorevolezza”.

A Valdocco aprì laboratori artigianali e professionali, con scuole di arti e mestieri per giovani lavoratori e scuole umanistiche per giovani avviati al sacerdozio. Nel 1858 convergevano su Valdocco circa ottocento giovani, la più alta concentrazione di adolescenti di estrazione popolare esistente in Italia. Don Bosco pensò subito ad assicurare la continuità della sua opera e fondò prima la pia Società di san Francesco di Sales (i Salesiani), approvata definitivamente nel 1869, poi l’Unione dei Cooperatori, e infine, con la collaborazione di suor M. Domenica Mazzarello, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Nel 1875, seguendo il flusso migratorio italiano verso l’America Latina, l’opera dei Salesiani divenne anche missionaria e don Bosco si fece pellegrino in Europa alla ricerca di fondi e di sostenitori. Terminò la sua laboriosa giornata terrena il 31 gennaio 1888 e fu canonizzato da Pio XI, che era stato suo ospite nell’Oratorio di Valdocco.


Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO

Conclusione

Quanto più uno vive il livello di coscienza, che abbiamo descritto, nel suo rapporto con le cose , tanto più vive intensamente il suo impatto con la realtà e tanto più incomincia a conoscere qualcosa del mistero.

E’ la coscienza che genera l’intensità del rapporto con la realtà: è la coscienza che ami quella persona che ti porta a guardarla come non hai mai guardato nessuno. E quello sguardo apre al rapporto con il Mistero, che comincia a lasciarsi conoscere, comincia a farsi carne, dentro la vita.

Senza la coscienza di sè si finisce con il vivere sforzandosi di avere un rapporto vero con la realtà, senza mai arrivare a vivere una intensità ma solo una grande quantità di cose, di impegni. Che cosa aiuta in tutto ciò? Il silenzio, lo spazio di un rapporto con sè fatto di sguardo vero.


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