La foto è una delle tante che si vedono in queste ore su tutti i notiziari: è la vista presa, più o meno, dal luogo dove si pensa che Gesù si sia fermato a piangere guardando Gerusalemme, dove si trova la chiesa del “Dominus flevit” appunto, lacrime che Gesù versa dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace” (Lc 19,42).
Una foto quindi scelta per una ragione estetica ma che ha il segreto compito, forse inconscio, di un “richiamo”.
Io non sono Gesù e quindi non ho nessuno che mi sento di richiamare; oggi mi sento molto come Giobbe, che nella prova grida a Dio, disperato, il suo “perché?”.
Sarà poi Dio stesso a zittire il grido di Giobbe, e anche il mio.
Oggi, di fronte all’ennesima guerra, posso solo essere totalmente definito dal mio essere mendicante: “O Dio, vieni a salvarmi!”.
C’è però un’altro particolare che mi rende cara la foto di quel paesaggio: ho imparato a vedere oltre la cupola dorata della moschea in primo piano e a cercare con lo sguardo la cupola della basilica della Risurrezione, il luogo che per noi dovrebbe essere il più caro di tutti. Se guardate l’ingrandimento è la cupola grigia spersa tra le case.
Quando guardo quella foto mi ridico che la via scelta dal nostro Dio è quella di essere in mezzo e non davanti. E di questo ho bisogno perché così mi costringo a dire che anche in questo dramma Lui è in mezzo, va cercato tra noi.

Per le 13 e 15 ho detto che mi sarei trovato con chi voleva in chiesa a san Pio a pregare il Rosario, perché potesse levarsi a Dio immediatamente il grido, la preoccupazione per questa nuova violenza.
voglio solo raccontare ciò che mi è parso più chiaro pregando nel caldo immenso di san Pio.
Eravamo tanti, la chiesa era praticamente piena di studenti, professori e impiegati nelle varie università di Città studi. E questo è stato consolante, ma a cosa serve questo pregare? Primo: perché solo il buon Dio può cambiare il cuore degli uomini e a noi spetta di chiederlo: come ha preso me può prendere il cuore di chiunque.
Secondo: la preghiera ha il grande vantaggio, almeno in me, di rendere familiare l’umano. Di fronte alla guerra, che comunque avvertiamo lontana, c’è sempre l’esperienza che la preghiera, il silenzio, mi aprono a desiderare di “dare”: e così finisce la maschera del “ma io, così piccolo e lontano, che cosa posso fare di fronte all’immensità del male?”. Finivo la preghiera del rosario con in mente che mille sono le possibilità di aiuto e di “conversione”: ieri sono arrivati dei bambini da Gaza che hanno bisogno di cure, sono a Niguarda, e io potrei donare il sangue. In Terra santa i poveri sono ancora più poveri e indifesi, e io posso cercare come posso aiutare la Custodia di Terra santa. A Gaza c’è una parrocchia cattolica che possiamo aiutare aiutando il Patriarcato di cui fa parte, … basta stare in silenzio, e comincia tutto a muoversi a essere una possibilità di costruire un mondo diverso e nuovo.
Lo auguro a me e a voi; messaggeri di pace.
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