Lunedì 1 dicembre 2025

Che bello!
Ieri pomeriggio visita guidata alla chiesa milanese di san Maurizio al monastero maggiore.
Un luogo che è davvero segno di una bellezza, mite e discreta, celata allo sguardo del passante distratto da una facciata quasi anonima; ma è anche un incredibile luogo di fede, tra quelle mura chissà quante donne hanno consegnato a Gesù la loro vita. 
In fondo, i preziosi affreschi di quelle “quattro mura” erano pagati dalle famiglie nobili di quelle fanciulle che si votavano a Dio, opere segno di una gratitudine e di un amore che hanno reso eterno ciò che, apparentemente, era lungo la durata di una vita umana.

Tornare a san Pio dopo gli affreschi di san Maurizio non è stato semplice: è stato un tornare brutalmente alla realtà, alle piastrelline verdi che preferiscono lasciarsi cadere nel vuoto pur di staccarsi dal posto dove sono. Mi veniva da dire che la bellezza di san Pio non è durata nemmeno la lunghezza di una vita umana.

Poi, alla Messa, ho visto venire tanti volti giovani e mi sono detto: “forse loro non passeranno la vita a san Pio, ma a san Pio hanno scelto a chi darla”.
Allora mi sono detto che le piastrelline verdi possono pure continuare a staccarsi e che agli affreschi da fare in chiesa ci penseremo. 



dalla liturgia ambrosiana:

In quel tempo. Terminate le parabole, il Signore Gesù partì di là. Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Vangelo secondo Matteo 13,53-58.

Il modo più semplice per ridurre la portata del mistero nella vita è tentare di spiegarlo; la gente non sa dare ragione del fascino di quel loro compaesano e quindi cerca di darne una spiegazione.
Questo è quello che percepiamo immediatamente, ad una lettura distratta del testo; in realtà il tentativo di spiegare comincia prima, dalla domanda su chi possa essere davvero Gesù. Le spiegazioni, più o meno logiche, vengono dopo, prima c’è lo stupore di quell’antico compaesano che torna ed è completamente diverso.
“Da dove gli vengono tutte queste cose?”, ecco forse dovremmo imparare a riconoscere che la domanda vera, che il vero passo, è questo stupore che poi si fa domanda.
E come è vera l’ultima affermazione di Cristo, se la leggiamo pensando che oggi siamo noi la sua patria. Come cristiani facciamo fatica a vedere l’opera di Dio nella vita e, quindi, facciamo fatica a stupirci.
Sazi d’amore.


Giubileo 2025.
Gesù Cristo nostra speranza.
IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale

6. Sperare nella vita per generare vita.


Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti.
La Pasqua di Cristo illumina il mistero della vita e ci permette di guardarlo con speranza. Questo non è sempre facile o scontato. Molte vite, in ogni parte del mondo, appaiono faticose, dolorose, colme di problemi e di ostacoli da superare. Eppure, l’essere umano riceve la vita come un dono: non la chiede, non la sceglie, la sperimenta nel suo mistero dal primo giorno fino all’ultimo. La vita ha una sua specificità straordinaria: ci viene offerta, non possiamo darcela da soli, ma va alimentata costantemente: occorre una cura che la mantenga, la dinamizzi, la custodisca, la rilanci.

Si può dire che la domanda sulla vita è una delle questioni abissali del cuore umano. Siamo entrati nell’esistenza senza aver fatto niente per deciderlo. Da questa evidenza scaturiscono come un fiume in piena le domande di ogni tempo: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Quale è il senso ultimo di tutto questo viaggio?

Vivere, in effetti, invoca un senso, una direzione, una speranza. E la speranza agisce come la spinta profonda che ci fa camminare nelle difficoltà, che non ci fa arrendere nella fatica del viaggio, che ci rende certi che il pellegrinaggio dell’esistenza ci conduce a casa. Senza la speranza la vita rischia di apparire come una parentesi tra due notti eterne, una breve pausa tra il prima e il dopo del nostro passaggio sulla terra. Sperare nella vita significa invece pregustare la meta, credere come sicuro ciò che ancora non vediamo e non tocchiamo, fidarci e affidarci all’amore di un Padre che ci ha creato perché ci ha voluto con amore e ci vuole felici.

Carissimi, c’è nel mondo una malattia diffusa: la mancanza di fiducia nella vita. Come se ci si fosse rassegnati a una fatalità negativa, di rinuncia. La vita rischia di non rappresentare più una possibilità ricevuta in dono, ma un’incognita, quasi una minaccia da cui preservarsi per non rimanere delusi. Per questo, il coraggio di vivere e di generare vita, di testimoniare che Dio è per eccellenza «l’amante della vita», come afferma il Libro della Sapienza (11,26), oggi è un richiamo quanto mai urgente.

Nel Vangelo Gesù conferma costantemente la sua premura nel guarire malati, risanare corpi e spiriti feriti, ridare la vita ai morti. Così facendo, il Figlio incarnato rivela il Padre: restituisce dignità ai peccatori, accorda la remissione dei peccati e include tutti, specialmente i disperati, gli esclusi, i lontani nella sua promessa di salvezza.

Generato dal Padre, Cristo è la vita e ha generato vita senza risparmio fino a donarci la sua, e invita anche noi a donare la nostra vita. Generare vuol dire porre in vita qualcun altro. L’universo dei viventi si è espanso attraverso questa legge, che nella sinfonia delle creature conosce un mirabile “crescendo” culminante nel duetto dell’uomo e della donna: Dio li ha creati a propria immagine e ad essi ha affidato la missione di generare pure a sua immagine, cioè per amore e nell’amore.

La Sacra Scrittura, fin dall’inizio, ci rivela che la vita, proprio nella sua forma più alta, quella umana, riceve il dono della libertà e diventa un dramma. Così le relazioni umane sono segnate anche dalla contraddizione, fino al fratricidio. Caino percepisce il fratello Abele come un concorrente, una minaccia, e nella sua frustrazione non si sente capace di amarlo e di stimarlo. Ed ecco la gelosia, l’invidia, il sangue (Gen 4,1-16). La logica di Dio, invece, è tutt’altra. Dio rimane fedele per sempre al suo disegno di amore e di vita; non si stanca di sostenere l’umanità anche quando, sulla scia di Caino, obbedisce all’istinto cieco della violenza nelle guerre, nelle discriminazioni, nei razzismi, nelle molteplici forme di schiavitù.

Generare significa allora fidarsi del Dio della vita e promuovere l’umano in tutte le sue espressioni: anzitutto nella meravigliosa avventura della maternità e della paternità, anche in contesti sociali nei quali le famiglie faticano a sostenere l’onere del quotidiano, rimanendo spesso frenate nei loro progetti e nei loro sogni. In questa stessa logica, generare è impegnarsi per un’economia solidale, ricercare il bene comune equamente fruito da tutti, rispettare e curare il creato, offrire conforto con l’ascolto, la presenza, l’aiuto concreto e disinteressato.

Sorelle e fratelli, la Risurrezione di Gesù Cristo è la forza che ci sostiene in questa sfida, anche dove le tenebre del male oscurano il cuore e la mente. Quando la vita pare essersi spenta, bloccata, ecco che il Signore Risorto passa ancora, fino alla fine del tempo, e cammina con noi e per noi. Egli è la nostra speranza.


Commenti

Una risposta a “Lunedì 1 dicembre 2025”

  1. Grazie mille donC! Davvero un super post oggi…

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