Fino a tardi non c’è stato verso di dormire, ero agitato e inquieto, come raramente mi capita. Così ho letto, prima un Tex e poi la SdC, ho provato anche a guardare un pochino la televisione ma non c’era nulla di interessante (cercavo un film western per la precisione), così mi sono messo a dare la seconda mano di doratura a un’icona che vorrei fare.
L’oro è in fogli sottilissimi e fragili e va posizionato con una cura e pazienza incredibili, il risultato, quando si è davvero capaci, porta a delle immagini che sembrano sbucare da una lastra d’oro; e questa è la ragione stessa dell’uso dell’oro nell’arte delle icone: dal mistero glorioso di Dio, l’oro, esce l’espressione che viene incontro all’uomo, che si manifesta a lui come emergere del mistero che prende una forma comprensibile e umana.
Intanto, nella foga del lavoro, era trascorso un sacco di tempo e, vuoi la concentrazione, vuoi la tensione del lavoro, nel frattempo mi è tornato il sonno.
Il succo della vicenda è questo, ed è doppio: primo: ogni istante, anche il cuore della notte, è buono per vivere il rapporto con il Mistero, che ci chiede solo di farsi carne nella nostra vita, basta un attimo invece per accontentarsi. Secondo: nelle icone la cosa che splende e riluce di perfetta luce non è la cosa più importante, la cosa che conta è ciò che da quella luce emerge: la nostra povera umanità che si fa segno del mistero.
dalla liturgia ambrosiana:
Mercoledì della VII settimana dopo PASQUA
In quel tempo.
Vangelo secondo Giovanni 15,12-17.
Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
“Dare la vita”, credo che se non si ama davvero non si può dare la vita, nemmeno ai propri amici. Ma come si ama davvero? La via che mi pare ci sia suggerita dall’esperienza è la via del cuore: aderire ai rapporti, alle persone alle situazioni con il cuore, mettendo tutto dentro ciò che si fa aiuta ad innamorarsi della realtà. Altrimenti è uno sforzo che non genera nulla se non la fatica del dire un sì giusto nei pensieri ma totalmente distaccato nei fatti. A noi interessa essere innamorati della vita e non ci fa ne caldo ne freddo essere semplicemente vivi.
Quindi solo chi desidera essere felice è disposto a stare fino in fondo alle cose, fino ad innamorarsi, fino a dare la vita. In questo senso uno che non desidera il compimento di sè non potrà mai essere davvero cristiano, nel senso che non arriverà mai ad amare sino a dare la vita.
In compenso ci può essere qualche “laico” che, desiderando davvero il compimento della vita, possa donarla amando ciò che ha davanti. In paradiso ci si può andare anche così.
Solo che noi possiamo guardare, e imparare, da Gesù.

Scuola di Comunità
IL SENSO RELIGIOSO
Capitolo 13
Educazione alla libertà
3. L’esperienza del rischio
Io vorrei allora collaborare a scoprire il punto esatto in cui sta la difficoltà nell’ammettere l’esistenza di Dio.
L’esistenza di Dio è esigita da ogni seria riflessione sulla vita umana, ma spesso, nonostante questa premessa, non si riesce ad arrivare a dare un nome a quella “Presenza” percepita e riconosciuta.
Perchè questo accade? Perchè il buon Dio lascia sempre aperta la porta della libertà e quindi anche davanti all’evidenza più evidente è sempre possibile il rifiuto e la negazione.
Dare una risposta è un rischio cui educarsi.
Buon mercoledì,
donC
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