Oggi solo poche parole sull’opera di Duccio che vedete in apertura e che costituisce il centro della pala della Maestà, diciamo che si tratta del centro perché viene ripreso un canone pittorico bizantino: la tavola centrale è, per dimensioni, quattro volte quelle “normali”.
Non serve poi un grande esperto per vedere come al centro, dove campeggia Cristo nel suo pallore lucente, quasi più dell’oro, si sia creato uno spazio vuoto, come un campo di battaglia tra quei due gruppi che si fronteggiano: da una parte i discepoli, occhi fissi a Gesù e posizioni composte, e dall’altra una massa che potremmo definire “da cori da stadio” che guarda sì in alto ma quasi per deridere e lanciare improperi al Figlio di Dio.
La sola cosa, molto semplice, su cui vorrei attirare l’attenzione, per aiutarci a vivere questa giornata, sono i due ladroni: il buono è sopra il gruppo dei discepoli e l’altro è posto in capo agli spettatori e accusatori di Gesù.
Notate che il buon ladrone non guarda a Gesù ma è rivolto con lo sguardo alla piccola folla sotto di lui. Come a richiamarci che quando non si ha nemmeno la forza di alzare la testa per vedere Gesù basta guardare in basso per vedere quello che di Lui è il segno evidente: la Chiesa.
Se non ci rendiamo conto della sofferenza di Cristo, se non riusciamo a guardarla guardiamo la sofferenza dei suoi discepoli di oggi, vedremo la stessa scena.
Celebrazione della Passione del Signore
PASSIONE DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO SECONDO MATTEO
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì –, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il «Campo del vasaio» per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato «Campo di sangue» fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito.
A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua».
Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.
Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, «si divisero le sue vesti, tirandole a sorte». Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.
Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo.
Vangelo secondo Matteo 27,1-56
Anche oggi stiamo sulla erroneità della nostra posizione: sarà scoprendo la nostra miseria che brillerà il bisogno del nostro cedere a Lui.
Cedere al fascino della Croce mi pare voglia dire scoprire il nostro bisogno, non per commiserarci ma per vedere da che amore siamo stati salvati.
1. “Tennero consiglio contro di lui per farlo morire“
Comincia così il brano della passione che ci racconta i fatti accaduti quel Venerdì Santo. Ed è una sottolineatura importante: sono ormai diverse le volte in cui viene manifestata la volontà di eliminare Gesù e insieme, l’insicurezza e l’incertezza nel mettere in atto quella volontà.
Per eliminare Gesù occorre fare un lavoro di persuasione vicendevole, occorre spingerso reciprocamente a compiere quella volontà, senza un reciproco sostegno quella scelta non si sarebbe mai attuata.
Ed è quello che capita anche a noi: anche per rifiutare Gesù c’è bisogno di un luogo dove poterlo inizialmente compiere, dove persuadersi della bontà del male.
Senza quel conciliabolo, senza quel luogo, non saremmo capaci di mettere a morte Gesù.
2. “Ho peccato perchè ho tradito sangue innocente“
Giuda ben presto si rende conto del suo errore, è improvvisamente cosciente della portata del suo aver sbagliato e nasce in lui il desiderio di rimediare.
Ma il male che facciamo può essere perdonato ma non può essere cancellato.
Nel bene, come nel male, le nostre azioni non possono essere cambiate, possono essere corrette le loro conseguenze ma il fatto resta, e resta anche nonostante noi, è per sempre.
Il tradimento di Giuda resta anche se a Lui il buon Dio ha perdonato tutto.
Accorgerci delle eternità dei nostri gesti non è sempre così evidente.
3. “Tu lo dici“
Abbiamo incontrato in Cristo uno capace di valorizzarci sempre, anche se in realtà capita di non dire la cosa più giusta. Ci prende sul serio per quello che siamo, per ciò che capiamo, non si aspetta che diciamo tutte le cose più giuste, capisce dove guardiamo e ci sostiene.
Anche se questo coincide con il farsi condannare.
Gesù è condannato per le nostre parole messe sulla sua bocca, come spesso accade. Ma a Lui sta bene così.
4. “E si lavò le mani davanti alla folla“
Ecco un’altra cosa che accade: fingere che nulla stia accadendo. Vediamo la scena, capiamo che cosa c’è in gioco ma non ci sognamo nemmeno per un istante di metterci in gioco. Pilato non è che il prototipo di un metodo con cui affrontare le cose: lavarsi le mani è un altro passo che compiamo nel prendere le distanze da Gesù.
5. “Alcuni che passavano di lì lo insultavano“
Sono solo alcuni, ma ci sono anche quelli che davvero sono così arrabbiati con Gesù da volerne la fine. Gli insulti sono segno di un estremo distacco e rifiuto, e anche della totale mancanza di uno sguardo al Crocifisso: per insultare quel GEsù appeso occorre non guardare ciò che sta accadendo: si insulta un’idea.
6. ” Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!»“.
Basta stare a quello che c’è, basta guardare quello che accade, e allora si vede oltre la Croce.
Domandiamo la grazia e la semplicità del centurione.

Dodicesima stazione
Gesù muore sulla croce
“Quando Gesù ebbe preso l’aceto esclamò:
Tutto è compiuto! Poi, chinato il capo, rese lo spirito”
(Gv 19,30).
In questa formella troviamo delle cose davvero belle: partiamo dal Cristo; non c’è più dolore in questo Crocifisso ma solo una pacata affermazione della pace che viene dall’aver dato tutto, in questa posa viene normalmente identificato il Cristo vittorioso: eretto e composto come un vincitore, a braccia alzate, appena dopo la fatica della gara. Anche il corpo collabora a dire questa cosa: vedete un copro perfettamente in posa e composto, fisicamente bello e perfetto; non c’è più lo spazio per il dolore e lo strazio della passione. Come nella tradizione sotto la croce ci sono solo Maria e Giovanni, anche se in base al testo evangelico non sarebbero stati solo loro; i due amati da Gesù sono in una osa inusuale per il soggetto che osserviamo: hanno un braccio poggiato alla croce e uno lasciato cadere verso le pecore, quasi a formare un cerchio che racchiude tutti i soggetti della formella.
Ma perché quel toccare la croce? Credo possa essere il desiderio di insistere e rendere evidente che la croce è ciò che dà forza di dire il proprio sì al compito che è dato a ciascuno: solo poggiati alla croce, in un rapporto diretto e continuo con quel legno noi abbiamo capacità e forza di vivere la nostra personale salita al calvario delle nostre giornate.
Infine credo sia da notare che Maria e Giovanni non guardano il Cristo ma la terra: il loro guardare Gesù non è solo una nostalgia ma è anche, e soprattutto, un giudizio: guardare Gesù non è farsi ispirare ma un legame che decide di ogni dettaglio della vita.
Il nostro scultore, attualmente ancora sconosciuto, pare conoscesse anche le opere d’arte: queste tre pecorelle, in pose molto simili, sono presenti nel mosaico di Cristo buon pastore nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna . Già quell’opera rende evidente il significato evangelico delle pecore, del gregge: sono il popolo di Dio.
Due mi paiono le sottolineature utili per poter godere della bellezza di quest’opera: la croce intesa come il grande ed estremo gesto di cura del pastore che dà la vita per le pecore e, secondo, mentre nel mosaico di Ravenna Cristo accarezza una pecora nella nostra formella è Giovanni che allunga una mano verso una pecora. Quasi a tradurre la frase di Gesù: “donna ecco tuo figlio”, “figlio ecco tua madre” (Gv 19,26-27.), Gesù chiede a Giovanni di guardare a Maria-Chiesa, come al gregge a lui affidato. Ma per farlo deve continuamente guardare a Cristo in croce, non deve guardare il gregge.
Un’ultima nota del tutto opinabile, legata all’incontro casuale con il mosaico di Galla Placidia: il pastore non è alla guida del gregge, in cammino, ma è fermo, in un caso è in trono, nell’altro è in croce. Un modo alquanto strano per esercitare il mestiere di pastore perché lo sovverte: avere cura delle pecore è semplicemente stare con loro, in mezzo a loro.

Tredicesima stazione
Gesù deposto dalla croce
“E Giuseppe d’Arimatea prese il corpo di Gesù
e lo avvolse in un candido lenzuolo.“
(Mt 27,59).
Il corpo di Gesù ha bisogno di essere sostenuto sinché il secondo uomo ha staccato anche l’altra mano dalla croce: c’è chi come Giuseppe d’Arimatea abbraccia il Cristo e lo sorregge perché possa essere deposto e c’è chi come quel secondo uomo, totalmente in secondo piano, vive il compito di staccare Gesù dalla croce senza guardare chi stacca. A confermare questa idea di distacco e lontananza c’è quella scala lunghissima per una croce che è solo di pochi centimetri più alta di un uomo.
Abbiamo quindi l’uomo che guarda Cristo che lo abbraccia e l’uomo che fa una cosa buona ma non guarda a Gesù. Uno è uomo pieno l’altro una riduzione. Quante volte abbiamo ridotto la nostra umanità magari anche aiutando dei poveri Cristi ma senza né abbracciarli né guardarli!
La figura di Gesù è davvero bella, innanzitutto per quel capo appoggiato alla testa di Giuseppe, Gesù è davvero sostenuto nella morte dalla figura intera di quell’uomo giusto che compie quel gesto di tenerezza: la carità, l’amicizia, o ci implica per intero oppure è solo un particolare della vita.
Da notare che in modo un po’ illogico la croce è sempre tra i due corpi, mentre per fare meno fatica Giuseppe avrebbe dovuto mettersi davanti lasciando la croce alle loro spalle; questo ci dice che per l’autore il patibolo non è solo il gesto del morire ma anche un continuo doversi umiliare perché non c’è rapporto che non debba essere attraversato dalla croce-
L’artista che ha fatto le formelle, o il committente che le ha ordinate, è davvero un genio. Avrei immaginato di tutto per commentare la deposizione di Gesù ma non un cammello! Ci ho dovuto lavorare un po’ ma alla fine credo che sia questa la sola spiegazione plausibile e immediata:
“È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”.
Il testo è in Matteo (19,24), e l’idea che ci dà quel cammello accovacciato sotto la croce è proprio quella dell’attraversamento della cruna dell’ago: la croce è l’ago che dobbiamo attraversare per entrare nel regno di cieli e il ricco non vi passa perché non può permettersi di perdere ciò che lo definisce.
Credo sia bellissima l’idea di collegare quel brano con la scena della deposizione dalla croce e non direttamente con la morte perché ci consente, o ci costringe, a riconoscere che la croce non è solo per Gesù ma per tutti. Quell’ago che va attraversato, per passare dalla morte alla vita, è la croce che è data a ciascuno di noi.

Quattordicesima stazione
Gesù è posto nel sepolcro
“Giuseppe lo mise in un sepolcro scavato nella pietra,
dove nessuno ancora era stato messo“
(Lc 23,53).
In La deposizione dalla croce viene qui fatta coincidere con la deposizione nella tomba: è sulla tomba che Gesù è avvolto con il telo sindonico: Giuseppe di Arimatea, l’uomo giusto, si preoccupa dei segni che garantiranno la presenza di Cristo nel tempo: la Sindone e il Graal, che tiene nella mano sinistra. Anche per lui, riconosciuto come uomo giusto, non c’è nemmeno l’ipotesi che l’assenza di Gesù sia solo temporanea. Per questo sembra quasi di vedere una incertezza di fronte alla decisione del gesto compiuto dall’altro uomo, che non ha legami con Gesù. Giuseppe procede esitante a coprire il copro di Gesù perché sa che poi non lo vedrà più.
L’uomo sulla destra è invece uno a cui importa chiudere la questione per passare a qualcosa di migliore: preparare la festa di Pasqua, sembra quasi che si aspetti che con un solo gesto possa sistemare la sindone sul corpo esangue di Gesù. Ciò che trionfa non è la realtà che è data ma la fretta di poter continuare nel proprio programma.
Sulla figura del Cristo credo di dover solo dire che davvero quel corpo è abbandonato nelle mani di un Altro. Non c’è rigidità alcuna ma solo abbandono.
Da notare che in questa scena lo sfondo (sfondo che troviamo per la seconda volta su quattordici) sono degli alberi sul crinale della collina: chiaro segno che Gesù è deposto in un giardino, un nuovo Eden dove la creazione è rifatta da capo.
Quest’ultimo animale mi ha chiesto molta più fatica degli altri, diverse possono essere le simbologie che hanno per soggetto un cane: nella Bibbia è un animale impuro e da cui guardarsi, spesso rappresenta il nemico da tenere a distanza o incatenato, è il simbolo dei nemici di Dio. In alcune rappresentazioni un cane è raffigurato ai piedi di Giuda, per significare l’inimicizia. In positivo però ci sono due testi evangelici: quello di Marco (7,24-30) in cui troviamo la discussione tra una donna siro-fenicia e Gesù perchè lei chiede il miracolo per la figlia, lei allora per implorare di essere esaudita cita i cagnolini che sono sotto la tavola e si cibano delle briciole cadute a terra. Un secondo brano (Lc 16,21) è quello in cui i cani leccavano le piaghe di Lazzaro alla porta del ricco Epulone. Ma nulla di tutto questo mi ha persuaso fino in fondo.
Alla fine mi sono detto che forse in questo caso la spiegazione più immediata è quella data normalmente dall’arte: il cane è simbolo di fedeltà e vigilanza: tutti sono scappati o tornati alle loro case. Gesù però non è solo, il cane resterà con Lui, segno della compagnia di chi il cane l’ha fatto. E non è poco.
Che la giornata di oggi sia un tenere lo sguardo
fisso alla Croce,
donC
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