La Messa

Riti di introduzione

Alle 10 in punto il chierichetto suona la campanella posta appena fuori della sacrestia, perché?

Ci eravamo lasciati la volta scorsa dicendo che possono essere vari i modi per prepararsi alla S.Messa, ciascuno può avere il suo ma quel suono fa scattare tutti insieme come dei centometristi che si scaldano per la gara senza guardarsi gli uni con gli altri; poi c’è lo sparo… che è il momento che raccoglie tutti e li mette insieme.

La campanella della sacrestia è importantissima perché ci “mette insieme”, fa di tanti individui un popolo. Lo Spirito Santo è colui che ci ha riunito insieme che ci ha personalmente convocati e che nella Messa da forma al nostro stare insieme.

Il suono della campanella non è quindi un semplice avviso d’inizio ma è il modo per dirci che mentre Gesù dona a noi il suo Corpo e il suo Sangue, prende forma la Chiesa.

Siamo chiamati alla Messa partecipando della Chiesa, ma la Chiesa prende coscienza e consistenza dalla Messa.

Si inizia poi il Canto d’Ingresso.

Dopo il momento in cui siamo chiamati dal suono della campanella, il gesto di alzarci e metterci a cantare tutti insieme è il segno che noi aderiamo a quella chiamata e prendiamo il nostro posto nel corpo organico della Chiesa.  Con il suono della campanella siamo convocati in unità, con il canto d’ingresso la Chiesa diviene “sposa” di Cristo che attende l’incontro con il suo Sposo nel segno del Sacramento.

Per questo il canto che inizia la celebrazione deve rispondere a requisiti importanti e chiari: deve essere l’inno di gioia che precede un incontro importantissimo perché esprime lo stato d’animo della Sposa che attende lo Sposo; il canto d’ingresso è poi scelto sulla base della liturgia del giorno: perché è come un vestito, va adattato all’occasione e serve a mostrare in quale conto si tiene quella circostanza.

Durante il canto fa l’ingresso il sacerdote con i ministranti (= coloro che, ragazzi o adulti, aiutano il ministro). Per capire come mai all’ingresso del sacerdote tutto il popolo di Dio si alza in piedi è sufficiente porsi una domanda: come accade che la Sposa (la Chiesa, popolo di Dio) si unisce con il suo Sposo (Cristo)?

Il Concilio Vaticano II nel documento Lumen Gentium (n°28) dice:

«I sacerdoti “Esercitano il loro sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr. 1 Cor 11,26), l’unico sacrificio del Nuovo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al Padre quale vittima immacolata (cfr. Eb 9,11-28)”.»

Così avviene l’unione di Cristo con la Chiesa: il sacerdote agisce in persona Christi; senza questa immedesimazione non ci sarebbe modo di mettere in rapporto la Comunità cristiana e Gesù; nella celebrazione Eucaristica il sacerdote porta alla comunità la presenza viva di Gesù e il cuore della Chiesa a Cristo, infatti raccoglie e da voce alle preghiere del popolo di Dio, parlando in persona ecclesiae.

Ecco perché all’ingresso del sacerdote ci si alza in piedi e alla fine della Messa si esce solo dopo che lui è uscito: senza l’opera del sacerdote la sposa non potrebbe unirsi al suo sposo e lo sposo non potrebbe donarsi alla sposa.

Lo scopo della solenne processione all’inizio della Messa è semplicemente quello di “salire” all’altare. In realtà l’area che il sacerdote e i ministranti raggiungono è quella del presbiterio, cioè il luogo degli anziani (nel senso dei saggi), che è poi l’area dove concretamente si svolgono tutte le parti dell’Eucaristia.

L’altare è un luogo (altus=alto) elevato e simbolicamente posto tra cielo e terra per congiungerli. Questo spiega come mai le chiese in collina e in montagna sono sempre sulle cime. E spiega anche perché sopra l’altare è costruita spesso la cupola del tiburio.

L’altare in una Chiesa è simbolo della fisicità di Cristo presente (per questo è chiesto che l’altare sia fatto in modo da non poter essere spostato. E per questo viene incensato: è il luogo dove Gesù immola sé stesso offrendosi come “sacrificio di soave odore” dice san Paolo scrivendo agli Efesini (5,2).

Le tovaglie che lo ricoprono sono invece il segno del banchetto eucaristico: un pranzo dove Dio e l’uomo sono commensali; è questa la vera immagine della Misericordia di Dio: creatore e creatura seduti insieme.

Sull’altare vi sono poi delle candele che ci ricordano che la presenza di Gesù è “luce delle genti” (Lc2,32), come la colonna di fuoco che nell’Antico Testamento guidava il popolo d’Israele nel cammino, notturno non tanto per l’oscurità quanto piuttosto per la necessità di riconoscere che il destino era nelle mani di Dio.

Sulla mensa vi sono poi anche dei fiori che mostrano la gioia e la festa del banchetto eucaristico. Mentre non vi sono mai piante sull’altare perché uno solo è il Vivente.

All’interno dell’altare sono invece conservate le reliquie dei santi patroni della chiesa e di alcuni altri santi e martiri; lo scopo è quello di ricordare a ciascuno di noi che c’è una unità grande tra il destino di Dio e quello dell’uomo, destino che viene dalla condivisione della medesima mensa.

Essendo quindi l’altare il luogo dell’incontro tra l’uomo e Gesù, si capisce come mai anticamente quel luogo era chiamato santuario, il posto santo della presenza e dell’incontro; per questo il sacerdote arrivato all’altare lo bacia.

Il bacio dell’altare

Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministranti, si inchinano. Poi il sacerdote si avvicina e lo bacia.

Questo gesto è il modo di riconoscere che è caro quel luogo consacrato dalla presenza di Gesù e della Chiesa celeste (i Santi e i Martiri le cui reliquie sono dentro l’altare); quel bacio è anche un modo per aderire a ciò che sta per accadere sopra la mensa eucaristica. Ecco spiegato anche perché è previsto che il sacerdote baciando l’altare vi ponga sopra le mani: per la consacrazione che ha ricevuto può rendere presenza fisica quella di Gesù.

Ma soprattutto il bacio dell’altare è un segno di adorazione. Il termine adorare deriva dal latino ad os che significa “portare alla bocca”: per mandare un bacio a chi si vuol bene, o per baciare l’orlo del mantello del personaggio famoso, …… adorare  è un gesto di rispetto che però contiene insieme tenerezza e delicatezza. Ricordiamo che anche il Venerdì santo il momento dell’adorazione della croce culmina con il bacio.

Poi il sacerdote incensa l’altare.

Colui che porta il turibolo con l’incenso si chiama “turiferario”, e, come questo accade basta spiegare il significato del termine per capire il perché dell’incenso bruciato sia intorno che sopra l’altare; il termine latino “thus” viene dal greco “thyos” che ha per significato sia profumo che vittima: l’offerta dell’incenso è quindi un vero e proprio sacrificio.

Il gesto di incensare l’altare significa allora che la Chiesa, prima ancora di iniziare il rito del sacramento è già consapevole di ciò che accadrà sull’altare e per questo si dispone ad iniziare la santa Messa in un atteggiamento di adorazione e di preghiera. Qui sarebbe anche utile ricordare la vicenda di Abramo e del sacrificio di Isacco: dovrebbe sacrificare la cosa più cara ma Dio la sostituisce con un ariete immaginate che cosa avrà provato Abramo mentre costruiva quell’altare e poi dopo il sacrificio dell’ariete. 

In conclusione,

possiamo osservare che la prima parte della celebrazione non è affatto accessoria ma ci chiede di avere da subito chiaro che si tratta di adorare, cioè che si comincia solo con la consapevolezza che stiamo per ricevere un dono davvero grande. Per questo a Messa occorre starci da subito, l’introduzione non è qualcosa che prepara ma è la condizione per ricevere con gioia il dono di Gesù.

Per questo ha ragione il proverbio: “Chi ben comincia è a metà dell’opera”. Anche se è l’opera di un Altro.


Segno della Croce

Così come noi lo facciamo, è l’evoluzione di un gesto che i cristiani hanno sempre compiuto su cose e persone e che hanno sempre vissuto come segno di appartenenza.

Ma qual è il senso di questo gesto?

La liturgia del venerdì santo presenta la Croce come strumento di vittoria, il vangelo di Giovanni tende addirittura a mostrare la Croce come il trono di Cristo-re cui tutti sono attirati. Così questo strumento di morte diviene fondamento della liturgia; lo sguardo “pasquale” della Croce mette in secondo piano la drammaticità del dolore per far risaltare quell’amore che non cessa mai di salvarci.

Praticamente il gesto del segnarsi con il segno della Croce ha il duplice scopo di ricordarci di essere stati redenti ma anche che la salvezza, la Croce stessa, non ci sarebbe senza che Gesù sia parte della trinità, la fonte dell’amore.

Così il segno della Croce riassume l’intero mistero della nostra salvezza: la Trinità  e l’Incarnazione che salvano l’uomo. Sulla Croce, infatti, si è manifestato in maniera suprema l’amore delle tre divine Persone per noi ed è per mezzo della Croce che possiamo entrare nel mistero di Dio, Trinità d’amore.

Per questo occorre fare bene il segno di Croce: è già una professione di fede viva.

Il saluto

“Il signore sia con voi “ è la formula più comune del saluto di inizio ed è anche la più antica (inizio del III secolo). E la risposta ad essa legata “e con il tuo spirito” se non è contemporanea al saluto stesso, è di poco più recente. Questo è davvero il più bell’augurio che si possa fare a un cristiano e che Dio stesso poneva come sigillo a tutti coloro che chiamava per un compito (“Io sono con te“ è ripetuto a Mosè, Giosuè, i Giudici, Davide, i profeti e fino a Maria che è salutata cosi dall’angelo (Lc 1,28)

Cosi alle parole si accompagna un gesto (allargare le braccia) che significa il dono della presenza divina

La risposta dei fedeli è un vero e proprio atto di fede nella capacità del ministro, infatti “e con il tuo spirito” indica il dono dello spirito ricevuto nel momento dell’Ordinazione; è come se l’assemblea dicesse: crediamo che tu puoi fare questo dono alla Comunità.

Un Nota Bene: Quando chi presiede la celebrazione è un Vescovo il saluto iniziale è diverso, al posto di “il Signore sia con voi” dice “la Pace sia con voi”.

È nelle culture orientali l’augurio normale per dirsi che la speranza è che tutto sia bello e vada bene, perché la pienezza dell’esistenza viene da Dio. Mentre la precarietà umana mette in pericolo il desiderio di Dio.

Ma soprattutto “la Pace sia con voi” è il saluto che Gesù risorto rivolge agli apostoli chiusi nel cenacolo prima di inviarli nel mondo. E non sono i Vescovi i successori degli apostoli oggi

L’atto penitenziale

Se i primi atti della Messa, segno di Croce e saluto, sono un proclamazione di fede, si capisce come mai, subito dopo, ci sia il riconoscimento della propria umanità come peccatrice.

Questa prima osservazione è molto importante: la coscienza del nostro peccato è sempre successiva alla coscienza dell’amore di Dio. La premessa che il sacerdote fa all’atto penitenziale ci dice una questione decisiva: “fratelli per celebrare degnamente i santi Misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Per poter vivere la grandezza del Mistero eucaristico, e la sua efficacia in noi, occorre la coscienza di averne bisogno.

All’invito del celebrante segue un momento di silenzio. Perché?

Non si tratta certo di un tempo dove compiere un esame della vita alla ricerca dei peccati; sia perché chiederebbe molto più tempo sia perché questo momento non è una Confessione, dove si devono elencare con precisione i peccati commessi; piuttosto si tratta di riconoscere ciò che ci caratterizza: il nostro poco amore all’amore grande di Gesù. 

La brevità del momento di silenzio è quindi voluta perché adesso si deve solo richiamare alla memoria un “dolore” che dovrebbe essere sempre presente in noi, quello della sproporzione.

Segue quindi, normalmente il “confesso a Dio onnipotente …”, momento in cui il sacerdote e i fedeli riconoscono di essere peccatori secondo un ordine che va dall’interno all’esterno della persona e secondo una gravità che non pone al vertice le opere ma le omissioni; cosa interessante per noi che spesso ci troviamo a dire di non aver fatto niente: il male più grande a noi e agli altri lo facciamo quando l’egoismo ci porta a non voler vedere e agire secondo il bene nostro e degli altri.

Commovente mi risulta anche l’aggregarsi della preghiera a Dio e ai fratelli: siamo tutti peccatori ma insieme possiamo accompagnarci nella via della santità, un dono di Dio che diviene reale nella compagnia con i miei fratelli.

La confessione dei peccati nella Messa non termina con l’assoluzione che significa letteralmente scioglimento, infatti solo il Sacramento della Confessione porta alla certezza dello scioglimento dei peccati; nell’atto penitenziale della Messa il sacerdote termina con un’affermazione che è domanda e speranza “Dio abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati…”.

Al posto del “Confesso…” si possono usare dei versetti di origine biblica oppure delle invocazioni che però hanno sempre la caratteristica di una domanda di perdono a cui non è utile unire la lode (che è già espressa nel segno della Croce e nel saluto iniziale).

Il gloria

Lo si conosceva, una volta, come “inno angelico” perché il suo inizio è preso dal brano evangelico (Lc 2, 13-14) dove si narra degli angeli che sopra la grotta di Betlemme cantavano Gloria a Dio … e il suo uso è attestato dal VI secolo inizialmente solo nella Messa di Natale.

La struttura è quella di una lode alla Trinità che viene così descritta come un aspetto della vita divina: la gloria è una delle infinte possibilità di descrivere come Dio vive.

Terminato il Gloria il celebrante recita la:

Preghiera all’inizio dell’assemblea liturgica

Viene chiamata ancora oggi, nel rito Romano, Colletta e significa “raccolta” perché in essa il celebrante raccoglie le diverse intenzioni della Messa per poi presentarle tutte a Dio in un’unica preghiera.

Per questo dopo che dice “preghiamo” c’è un momento di silenzio: dovresti fermarti a ricordare perché sei lì, ciò che vuoi chiedere a Gesù, ciò di cui vuoi ringraziarlo. E se poi sei stato distratto e non sai cosa chiedere allora diventa molto importante ascoltare le parole che il sacerdote sta per leggere: quella è l’intenzione con cui tutta la comunità celebra la Messa.

E per questo è importante che si risponda chiaramente Amen alla fine della preghiera, è il segno che abbiamo capito e vogliamo chiedere proprio quel dono a Gesù nell’Eucaristia.

Le orazioni hanno una struttura sempre uguale: inizia con un’invocazione a Dio, c’è una o più considerazioni, la richiesta vera e propria, un motivo per chiedere proprio quel dono e la conclusione.

Considera infine che queste preghiere sono sempre rivolte alla Trinità anche se “passano” per una delle tre persone.


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