INDICE
- Premessa
- Introduzione
- Riti di Introduzione
- Liturgia della Parola
- Liturgia Eucaristica
- Riti di Comunione
- Riti Conclusivi
- Conclusioni
- Bibliografia per approfondire
Liturgia della Parola
Dopo L’inizio del rito eucaristico, l’assemblea si pone in un atteggiamento di ascolto della Parola di Dio.
La liturgia della Parola è composta di due momenti:
- L’ascolto delle tre letture (prese da un libro, “lezionario”, che le riporta divise per tempi liturgici, feste e ricorrenze, secondo criteri che si possono trovare nelle premesse del libro stesso):
- un brano dell’Antico Testamento, seguito da una Salmo a cui si dà insieme una risposta che è un’adesione.
- l’epistola, cioè un brano degli scritti apostolici del Nuovo Testamento, che hanno per lo più la forma di lettera.
- una pericope tratta da uno dei quattro Vangeli
2. La risposta dell’assemblea all’ascolto della Parola, che consiste di due interventi:
- L’omelia o predica; una attualizzazione della parola di Dio che spetta al ministro ordinato, così avviene per l’annuncio del Vangelo
- La preghiera universale o dei fedeli per la Chiesa e per il mondo
Ma a che cosa serve leggere dei brani della parola di Dio?
Lo scopo è quello di mostrarci la grandezza e la grazia della storia d’amore di Dio per l’uomo. Storia che poi diventa fonte di giudizio: su quanto siamo fragili e lontani da quell’amore; e contemporaneamente fonte di struggente desiderio: come è grande la tensione a vivere quella Comunione!
Così emerge la dinamica che dovrebbe accadere in colui che ascolta la parola di Dio: la consapevolezza di essere peccatori e il richiamo alla fede, cioè alla vita, perché come dice san Paolo “il mio giusto vive di fede”.
L’ascolto della parola di Dio dovrebbe farci fare esperienza della “tristezza secondo Dio” che per san Paolo è il dolore che viene dalla sproporzione ma che non si ferma e che ci spinge ad essere migliori. Cedere al fatto che noi non meritiamo l’amore di Dio è un peccato grave perché non tiene conto del fatto che l’amore di Dio è gratuito e senza riserve.
Come la Parola di Dio va accolta?
Potrebbe sembrare una domanda formale ma è invece importantissimo perché implica che si sappia qual è lo scopo delle letture nella Messa. Infatti se si trattasse di un semplice insegnamento basterebbe indicare la cosa più importante e ripeterla sino a farla diventare costitutiva della vita dei credenti. Invece la parola di Dio ci racconta una storia concreta fatta di tanti eventi, grandi e piccoli, che mostrano che volontà di Dio, da sempre, è quella dell’amicizia con l’uomo.
E poi la liturgia della Parola ha la struttura di un dialogo vero e proprio: ad ogni intervento del ministro o dei lettori c’è sempre una risposta dell’assemblea; segno questo del fatto che non si tratta solo di ascoltare ma anche di decidere che cosa si vuole rispondere a Dio che ci cerca.
Ma perché le letture sono sempre dei testi biblici?
Perché non leggere delle riflessioni di autori che ci aiutino a capire di più la nostra amicizia con Gesù?
Perché la Messa è il momento dell’incontro tra Dio e il suo popolo, la Chiesa, per questo la Sua parola è la cosa più giusta da ascoltare: Gesù ci parla attraverso la Bibbia che è la storia dell’amore di Dio per gli uomini.
Ma perché non leggere tre episodi del Vangelo che sono più facili da seguire e da capire?
Spesso infatti i brani delle prime due letture sono difficili e complicati, raccontano cose che noi non conosciamo e che sentiamo più lontane da noi. La ragione è piuttosto semplice: sentir suonare un solo strumento produce una musica meno completa del sentirne diversi e tra loro opposti. Così si comprende facilmente che le letture sono una storia: quella di Dio con il suo popolo e che questa storia ha in Gesù il suo vertice.
La prima lettura
Di norma si tratta di un brano dell’Antico Testamento. Ha lo scopo di mostrarci che la storia di Dio fatto uomo in Gesù è la stessa storia del rapporto tra Dio e il suo popolo Israele. Quella che anticamente era una preferenza è divenuta una Presenza in Gesù, per questo la prima lettura si ascolta stando seduti: è un momento in cui si impara a riconoscere che la vicenda di Gesù non viene dal nulla ma da una storia che è lunga millenni.
Il salmo responsoriale
Come dice la parola stessa è una risposta a ciò che la prima lettura ha raccontato, una risposta tratta da uno dei 150 salmi che sono presenti nella Bibbia e che costituiscono il modo di pregare degli ebrei al tempo di Gesù. Spesso sono come delle “confidenze” che si facevano a Dio perché di Lui ci si poteva fidare e Lui sapeva accompagnare e custodire i desideri dei suoi amici.
L’Epistola
Come dicevamo, è un brano tratto dal Nuovo Testamento e ci mostra quale coscienza avevano i primi cristiani della loro fede e del loro rapporto con Gesù. Sono importanti i segni di novità che vediamo emergere dalla vita dei santi Paolo, Pietro, Giacomo e Giovanni, che nei loro scritti mostrano come l’incontro con Gesù, insieme al dono del Suo Spirito, rende gli uomini capaci di vivere in modo grande la vita, con cuore e passione grandi.
Il versetto dell’Alleluia
Dobbiamo subito dire che alleluia è la parola che fonde due termini ebraici: hallelu e Jah che significano “lodate Javhè”. Ed è un termine che si trova nel libro dei salmi per intervallare la preghiera, come l’esplosione di gioia di uno che riflettendo sui doni che riceve non può trattenersi dal dire “Grazie”.
La ripetizione continua di questa parola è detta giubilo, ossia una lode che da sola dà contentezza. Qualcuno spiega questa parola come il cuore che canta la gioia di Dio che accompagna e protegge nel cammino della vita.
Altri interpretano il fatto che all’alleluia ci si alzi come il gesto impetuoso di chi canta e cammina: è certo di essere al sicuro e forte, perché un Altro lo protegge.
Vangelo
“Buona novella”: questo è il significato di Vangelo.
Perché ora è Gesù stesso che parla alla sua Chiesa, non si tratta più solo di una parola scritta ma di una parola fatta carne, sangue e presente. Alzarsi assume anche il significato del risorgere davanti a Gesù che viene, con la Sua vittoria anche noi vinciamo il nostro male.
E poi qui legge il ministro ordinato. Per mettere in luce che non si tratta più di una parola ma di Dio che ci offre sé stesso, e questo è evidenziato dalle risposte che diamo come assemblea: “Gloria a Te Signore” e “Lode a Te, o Cristo”.
Omelia
Viene comunemente attribuita a Benedetto XVI una frase arguta e significativa: il miracolo della Chiesa è quello di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie.
Quanti danni abbiamo fatto noi preti con l’omelia!
Ci sono prediche troppo lunghe e prediche troppo corte, alcune troppo spirituali e altre troppo “sociali”, alcune così aderenti ai tempi da sembrare il commento alle notizie dei giornali, altre troppo catechistiche e altre troppo nostalgiche, … potrei continuare per ore nel fare l’elenco delle attenzioni che deve avere chi prepara un’omelia. Fare chiarezza non sarà quindi facile, basta rifarsi alla propria esperienza personale per rendersi conto che questo momento della celebrazione è davvero il più problematico dell’intero sacramento.
D’altra parte non è che non ci siano indicazioni al riguardo, pensate che papa Francesco nella Evangeli gaudium ha dedicato ben 24 paragrafi (dal numero 135 al numero 159) per rendere ragione dell’importanza dell’omelia. Potremmo dire che due sono le questioni evidentemente in gioco in questa parte della Messa: la prima è che l’omelia la fa il prete e che ogni prete ha le sue caratteristiche di temperamento e soprattutto il prete ha un rapporto con il buon Dio che è del tutto personale, esattamente come ogni cristiano che è in chiesa e lo ascolta. E qui si introduce l’altra variabile inevitabile nell’omelia: l’assemblea; anche per ascoltare serve una disponibilità all’ascolto che non può essere semplicemente generata dal prete, l’ascolto ha bisogno di una “sete” che deve esserci nella persona che ascolta. Potrebbe accadere di non trovare corrispondente a sé ciò che il prete dice, ma il desiderio di Cristo e della sua amicizia porterà certamente ad accogliere con cura quanto si andrà dicendo.
Senza il desiderio di riascoltare quella Parola che ci ha conquistati non saremo mai capaci di ascoltare parole diverse da quelle che ci aspettiamo.
Ma allora qual è il compito dell’omelia?
Non si tratta né di un momento di meditazione né di una catechesi ma vorrebbe essere come il farsi carne del dialogo di Dio con il suo popolo che si ascolta nelle letture, un dialogo dove vengono evidenziate le meraviglie della salvezza, della vita di colui che incontra Gesù e la sua Chiesa e la ripresa continua delle esigenze che questa novità, questa nuova e personale Alleanza porta alla vita di coloro che lo incontrano. L’omelia ha quindi il compito di collegare il testo della Parola di Dio con la vita della comunità e con il singolo partecipante all’assemblea.
Ma è predica o omelia?
Di per sé i termini sono sinonimi ma nel tempo il termine predica ha assunto un’accezione negativa e tutto ciò che possa essere monotono, noioso, ovvio e ripetitivo è identificato con il “fare la predica”. Per questo oggi si tende ad utilizzare di più il termine omelia, parola che ha nel greco la sua origine e che indica non un monologo ma più un discorrere, un dialogare, tant’è che il verbo homileo è usato proprio nel brano evangelico del cammino di Emmaus, per descrivere il fatto che Gesù e i due discepoli procedono conversando. Questo ci dà anche l’idea della semplicità e familiarità che dovrebbe avere un’omelia.
Ma allora perché la predica non è un’assemblea? Possiamo tranquillamente pensare che all’inizio fosse così, poi il crescere della assemblea e la preoccupazione che non venissero dette cose “strane” (nei primi secoli la Chiesa ha dovuto spesso fare i conti con interpretazioni dottrinali ed eresie di ogni tipo) ha progressivamente portato alla forma attuale dell’omelia, che resta comunque l’inizio di un dialogo tra l’uomo e Dio, tramite la Sua parola e la provocazione di chi fa la predica.
Quando sono io a commentare le letture inizio sempre la predica con un saluto che era quello che anticamente le persone rivolgevano ai sacerdoti incontrati per strada: “sia lodato Gesù Cristo!”. I predicatori poi fecero loro questo saluto introducendolo all’inizio o alla fine delle loro prediche con lo scopo di dire a chi li ascoltava: non guardate a me ma guardate piuttosto a Gesù.
Ai nostri giorni il Messale nelle sue note non prevede più questo saluto perché, saggiamente, non ha senso un saluto a metà celebrazione; ma allora perché io uso questa strana formula un po’ desueta? Semplicemente perché mi è sempre parsa una cosa grande come prima reazione al fatto che ancora oggi, ora, Gesù ci parla attraverso le Scritture.
L’ultima parte della liturgia della Parola non è meno importante delle letture appena ascoltate, cosa sarebbe una promessa e una buona notizia senza una reazione? Il silenzio dopo l’omelia, il canto dopo il Vangelo con la professione di fede, il Credo, nel rito romano, e la preghiera dei fedeli sono la “forma” della risposta dei presenti all’annuncio della parola di Dio, sono il modo della risposta alla promessa che Dio fa a loro e per tramite loro a tutti gli uomini.
Terminata l’omelia, stando seduti, tutti fanno un momento di silenzio. Non può essere un silenzio di meditazione che chiederebbe più tempo e calma; ricordati sempre che la celebrazione non è né una catechesi né una ripetizione di gesti automatici, questo essere fermi e seduti non è neppure una pausa nel procedere delle cose; lo spiegherei così: quando ricevi un dono inatteso e bellissimo c’è un istante in cui resti bloccato, senza parole e quasi non sai cosa dire, in realtà è il momento in cui ti rendi conto di cosa è capitato, non è che ti rendi conto di tutto ma blocchi nella testa la cosa che più è evidente ai tuoi occhi. Questo potrebbe essere il momento di silenzio dopo l’omelia.
Canto dopo il Vangelo
Alzandosi in piedi tutta la comunità esegue il canto dopo il vangelo; proprio per il nome e la natura di questo breve intervento, spesso di natura biblica, dovrebbe essere un momento di tutta la comunità, può anche essere sostituito da un canto vero e proprio avendo l’attenzione a riconoscere che è molto più utile talvolta avere l’umiltà di dare voce al proprio sì a Gesù con le parole diverse per ogni domenica piuttosto che con un canto inevitabilmente ripetuto e conosciuto che si finisce col cantare per cantare.
Ma allora se è una prima risposta alla parola di Dio perché deve essere dettata dalla Chiesa e uguale per tutti? Perché la nostra assemblea è fatta di gente che è segno della Chiesa tutta, non è la comunità parrocchiale che risponde ma attraverso la comunità parrocchiale tutta la Chiesa è impegnata in questo stupore grato.
Accade poi che in alcuni posti il canto dopo il vangelo sia eseguito subito dopo la lettura del vangelo mentre in altri dopo l’omelia. Credo che non cambi di molto la questione, occorre però non scordarsi che la predica fa parte integrante della liturgia della Parola, come dicevamo: le parole del sacerdote non sono certo all’altezza della parola di Dio ma sono come il grimaldello per poterla comprendere o per intuire la portata del Mistero che si comunica attraverso delle parole.
Preghiera dei fedeli
Debitamente introdotta dal sacerdote si fa poi, restando alzati, la preghiera universale o preghiera dei fedeli.
Si chiama preghiera dei fedeli perché è la preghiera dei battezzati, coloro che quindi sono legati dal comune dono del sacerdozio (uno dei doni che tutti abbiamo ricevuto il giorno del Battesimo), per questo sarebbe significativo che le preghiere arrivassero spontanee dal cuore e dai bisogni dei presenti alla celebrazione. Nel contempo questa preghiera è detta anche universale perché è segnata dal desiderio di racchiudere e portare tutte le fatiche del mondo, rendendo la celebrazione segno di misericordia e di cattolicità (cioè un gesto che porta tutti gli uomini).
Solitamente si chiede che non manchino le preghiere per la Chiesa, e questo non per un gesto formale di deferenza quanto piuttosto perché dovremmo essere coscienti di poter vivere solo perché parte di un corpo; poi si chiede di pregare per i governanti, non perché ci piacciano o meno ma perché il loro servizio non sia al potere ma per il bene comune e quindi anche al benessere della Chiesa oltre quello di tutti gli uomini, poi siamo invitati a pregare per coloro che soffrono, perché il nostro gioioso incontrare Gesù non può davvero non misurarsi con la fatica di coloro che come Lui portano la Croce; infine l’ultima preghiera è per i defunti, come posso essere grato di quello che ho ascoltato senza la coscienza che l’ho potuto ascoltare per una storia che affonda le sue radici nei volti di tanti che mi hanno accompagnato e ora non ci sono più?
Da tenere presente che la preghiera dei fedeli non può, per forza di cose, tenere presente tutte le preghiere e le necessità, occorre sempre avere il coraggio di non pretendere di “farci stare tutto”; sono sempre da preferire le preghiere che tengono conto di ciò che si sta celebrando e i testi ascoltati.
Se mi è concessa una digressione, a proposito della preghiera dei fedeli spenderei qualche riga per riprendere una sottolineatura contenuta nelle premesse del messale ambrosiano: laddove si evidenzia che “nelle comunità più preparate” la preghiera dei fedeli sia fatta in ginocchio; al di là del fatto che, non avendo mai visto questo gesto, devo concludere che in diocesi di Milano non esistano comunità preparate, devo ammettere che la cosa mi colpisce per la sua profondità e il suo significato: ci si mette in ginocchio davanti alla presenza di Dio, alla grandezza del suo amore fatto carne per noi e, nel contempo, si ha la coscienza del limite che ci costituisce; la conclusione della liturgia della Parola è la mendicanza davanti alla Sua presenza. Noi non possiamo fare questo gesto “di testa nostra” (se non lo chiede esplicitamente il sacerdote che celebra), ma credo che anche solo sapere questa cosa ci possa aiutare a capire se e come abbiamo vissuto la liturgia della Parola.
Quindi anche la posizione del corpo dice molto: il figlio chiede stando in piedi mentre il mendicante supplica il dono di ciò che è necessario, ma l’una e l’altra postura sono sempre di fronte a una Presenza e non a semplici parole.
La preghiera dei fedeli viene poi conclusa da una preghiera del sacerdote che nel rito ambrosiano si deve sempre dire, anche quando si dovessero omettere le preghiere dei fedeli. Che scopo ha la preghiera al termine della liturgia della Parola? La struttura è quella della Trinità: si invoca il Padre passando per di Gesù, spesso grazie all’intercessione dello Spirito. Il testo in qualche modo riprende o si riferisce all’orazione che ha iniziato la Messa; lo scopo di questa ripresa dell’intenzione è quello di creare di nuovo una unità tra coloro che sono presenti per motivi e necessità diverse, il desiderio è quello di poter concludere l’ascolto della parola di Dio ritrovando una Comunione reale.
Scambio della pace
Terminata l’orazione che chiude la liturgia della Parola nel rito ambrosiano il sacerdote, o il diacono, richiamano: “il Signore sia con voi” per dirci che quella Presenza è accaduta nella Sua parola e quindi tra noi è davvero presente Gesù, per questo viene poi aggiunto: “scambiamoci un segno di pace”.
A quel punto in moltissime celebrazioni succede di tutto: per alcuni una sorta gara a chi da più segni di pace, altri, sposati o meno, che si baciano, altri che si abbracciano e chi invece semplicemente saluta, …
Che questo momento sia spesso ridotto a un gesto soggettivo e “naturalistico” credo sia assodato ma questo non si accorda tanto con una celebrazione che fa memoria del Gesto di Gesù che dà la vita per salvarci; la questione è davvero importante nella sua semplicità tanto che anche Benedetto XVI nella esortazione apostolica “Sacramentum caritatis” (2007) chiedeva di studiare “l’opportunità di moderare questo gesto”.
Come si è arrivati a tanto?
Dal II secolo san Giustino ci documenta l’uso un “bacio santo” come segno di pace che obbedendo alle parole di Gesù (Mt 5, 23ss: se dunque ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te , lascia lì il tuo dono e va a riconciliarti …) veniva scambiato dopo la lettura delle Scritture e le preghiere dei fedeli e prima del gesto memoriale dell’ultima cena. Attenzione però che quel gesto, sulla bocca e divisi per sessi, non era gesto di perdono ma di nuova e piena comunione con Dio, Comunione suscitata dalla Sua parola.
Pochi secoli dopo, sant’Agostino (IV-V secolo) ci racconta una prassi della chiesa “africana”: scambiarsi il bacio santo dopo la preghiera del Padre nostro; in questo modo il gesto assume un altro significato: la presenza di Cristo, vivo e risorto, dà agli uomini che confidano in lui, la pace.
Questa prassi si diffuse poi a tutta la Chiesa e, nel contempo, iniziò un processo di semplificazione che trasforma il bacio prima in un abbraccio e poi in un segno. Ma perché si sentì l’esigenza di semplificare il gesto di pace? Perché quando veniva compiuto prima dell’offertorio aveva la forma di un desiderio di Comunione e di unità tra i fedeli mentre lo stesso gesto compiuto di comunicarsi ha il significato del dono della pace data da Gesù risorto, una ragione invece più essenziale e diretta è che avendo sull’altare la Presenza stessa di Cristo non ha molto senso perdersi in convenevoli e per il sacerdote sarebbe un pò strano allontanarsi dall’altare, sarebbe una trascuratezza di fronte alla Sua presenza.
CONCLUSIONE
Una breve riflessione partendo da una osservazione concreta: una delle cose di cui vado fiero è che da sempre ci tengo ad iniziare la celebrazione della Messa in orario e questo non solo per il civile rispetto delle persone che sono presenti, fatto questo che mi ha mosso nei primi anni di ministero, ma perché sempre più spesso nasce in me il desiderio di quella Parola e di quella Carne.
Perdere una parte, talvolta abbondante, della Messa certo che non “annulla” l’efficacia del Sacramento, ma è mettersi nella condizione di non poterne godere pienamente. Come se uno saltasse il primo tempo di una grande sfida calcistica: saprebbe certo il risultato finale ma non potrebbe dire di avere fatto esperienza piena di quell’evento. E poi un tifoso lo sa bene: in una partita ogni istante può essere quello decisivo, quello che smuove il risultato, è abbastanza riduttivo seguire solo i minuti finali pensando che sono quelli che contano.
Da questo traggo due cose che mi paiono reggere per questa prima “liturgia” (nella Messa ci sono due liturgie: quella della parola e quella eucaristica, gli altri sono riti: ingresso, comunione, conclusione):
La celebrazione della Sua parola a me, per me, illumina la mia vita nel rapporto con il Signore ma anche genera l’unità dei cuori di chi con me celebra l’Eucarestia e in tutti noi dovrebbe esprimersi come volontà di dire sì a Lui.
Credo sia quello che accadeva ai suoi amici quando lo ascoltavano parlare e stavano con Lui. A loro bastava quella Sua voce per essere pieni di una vita nuova, a noi invece spesso capita di guardare alla liturgia della Parola come se fosse una semplice preparazione alla Comunione.
La seconda cosa che vorrei poteste trattenere deriva proprio da questa: se il dono della Sua Parola basta a riempire e cambiare la vita allora saremo in grado di stupirci e percepire realmente la portata straordinaria e sconvolgente del dono di sé che Gesù compie nella liturgia eucaristica. Se vogliamo davvero capire l’immensità del dono che è il dare la vita di Gesù, dobbiamo prima lasciarci sorprendere e affascinare dalla corrispondenza delle Sue parole con la nostra vita.
Insomma credo che in fondo sulla liturgia della Parola ci sia un grosso mutamento da fare: non possiamo continuare a pensare che le letture, e ciò che le accompagna, siano solo una premessa alla liturgia Eucaristica. La Parola di Dio è un modo della Sua Presenza.